mercoledì 8 febbraio 2012

To Urizen

Si tratta quasi dello stesso tipo di schiavitù a cui Urizen costringeva Orc, quella che si propone ogni volta in cui si tende a divinizzare qualcuno, a divenirne devoti, a lodarlo come fosse il nostro Dio e nostro centro e a dedicarvi tutta la nostra vita, sino, talvolta, a rendersi schiavi totalmente.
Ogni gesto, ogni atto, ogni cosa, è fatta nel nome della persona amata o "adorata" sarebbe il caso di dire.
Simbolicamente il ragionamento è più o meno identico.
Le nostre pulsioni, i nostri sentimenti, le nostre più recondite sensazioni, vengono totalmente soppresse, spente e rilegate ad uno stato di totale prigionia. Mi riferisco chiaramente a tutte le sensazioni più personali, più intime, private. Queste o vengono rese note, pubbliche, oserei dire "Sacrificate" all'essere amato.. o vengono come detto sopra soppresse, annullate. Ciò che viene definito come propria indipendenza o proprio essere unitario scompare letteralmente, venendo totalmente fuso in completa armonia e al servizio dell'altrui essere.
Ciò, neanche a dirlo, comporta conseguenze disastrose, annichilenti e assai dannose per noi in primis, e per tutto ciò che in quel contesto si è scelto di edificare, sia esso un rapporto, una relazione, un semplice contatto umano. Queste conseguenze però hanno il difetto di non esser da subito note e lampanti, ma di venir fuori piano piano, lentamente, col tempo.
Si tratta di un qualcosa a cui si va incontro più spesso di quello che si pensi, nella vita di tutti i giorni.
Si tratta di un qualcosa, allo stesso tempo, di inevitabile talvolta, di piacevole e ammaliante. Si diventa infatti succubi, schiavi, ci si lascia trascinare, trasportare e guidare da sensazioni, attimi, gesti e poi comportamenti che all'apparenza risultano certamente piacevoli, amorevoli, appaganti e complementari alla nostra personalità in quel determinato momento. E il bello è che lo sono realmente, non si tratta di mere illusioni.
Si presenta tutta una serie di sensazioni, emozioni, percezioni, tutte fantastiche, splendide ed inimitabili. In una sola parola Uniche.
Tutti questi meccanismi, come detto, si sviluppano in totale devozione con l'oggetto "Santificato". Questo oggetto alcune volte viene rappresentato da una persona amata, un/a fidanzato/a, una madre o un padre magari, altre volte viene rappresentato da divinità astratte, come Dio, come un ideale, come un lavoro o come un Artista o un Musicista talvolta. Come una qualsiasi entità che, come detto nel post precedente, generi dipendenza, e di conseguenza condizioni un'intera vita.
Il problema è che talvolta in questo meccanismo di devozione, questa scia di sensazioni accattivanti prende la parte delle sensuali Ondine teorizzate da Paracelso. Per chi non fosse al corrente delle terminologie utilizzate dal mago/alchimista/medico svizzero, si tratta più o meno del ruolo che nella mitologia assumono le più famose Sirene o Ninfe.
In poche parole attirano gli uomini nella loro trappola, grazie alla loro bellezza, alle piacevoli sensazioni che sprigionano e in men che non si dica ne catturano l'anima o talvolta direttamente il corpo con tutto il suo contenuto, rendendolo schiavo.. nel loro caso, della morte.
Questa schiavitù ha inoltre il triste pregio di risultare all'individuo, oltre che degradante sotto certi aspetti, totalmente inconscia. Per questo gli effetti devastanti generati da questa, vengono fuori solo nel lungo periodo.. riflettendosi su tante altre conseguenze che inizialmente passano inosservate.
All'avvenire di questo meccanismo di deificazione, infatti, tutti gli allarmi che la nostra psiche è sempre pronta a segnalarci per evitare danni lesivi al nostro apparato emotivo, vengono immediatamente declassati, sconvolti e talvolta disattivati.
Del resto trattandosi di una centralizzazione totale della nostra vita nei confronti di quell'essere vivente, è normale che tutte le funzioni che non risultino ad esso inerenti passino inevitabilmente in secondo piano, o forse in terzo.. ammesso che esista. Ed è anche normale che di conseguenza tutto ciò che concerne la nostra esistenza dipenda in grossissima parte da ciò che venga messo in relazione con tale entità dominante.

E allora se tutto appare così accattivante, bello, dolce, sensuale, ammaliante, appagante, gratificante e completante, quali sono questi effetti disastrosi e degradanti susseguenti?
Beh qui le dinamiche sono complesse e molto diverse e variano da soggetto a soggetto, e soprattutto sono molto dipendenti da cosa viene messo in relazione col soggetto stesso; come detto sopra ci sono varie possibilità:
agenti divini, agenti artistici, ideali, persone, ecc.
In molti casi comunque ciò che viene meno e che crea di conseguenza profondi squilibri nelle dinamiche dei rapporti e di conseguenza nelle dinamiche interiori, è appunto un fattore che tiene banco e rappresenta le difese e le concezioni proprie e personali dell'individuo, fondamentali per la sua esistenza e decisamente funzionali nel momento in cui l'individuo debba distaccarsi e difendersi dal contesto che lo circonda.
Escludendo queste funzionalità si esclude la possibilità per l'individuo di separarsi dal contesto e da ciò che lo circonda, di distaccarsi di conseguenza da questa continua forza attraente e da cui letteralmente ogni proprio gesto dipende, come allo stesso modo può avvenire per un tossicodipendente.
Se l'oggetto di dipendenza è rappresentato da una persona ad esempio, questo annichilirsi da parte dei fattori individuali, del senso critico e del distacco critico dell'individuo dall'altro essere, porta ad una continua ed ossessiva identificazione dell'individuo con l'altra persona, che può generare comportamenti poco autosufficienti da parte del dipendente fino a veri e propri atti di stalking nei casi più estremi.
Nei casi più nella norma, quelli in cui dunque l'individuo dipendente è totalmente ossessionato dalla cura e da ogni gesto dipendente dall'altra persona, il rischio maggiore porta ad un forte disequilibrio innanzitutto delle dinamiche di coppia, secondo cui adesso un individuo trascinerà il rapporto e farà da creatore di dipendenza e l'altro ne verrà di conseguenza trascinato. Ciò comporterà dunque un forte peso di responsabilità trainanti da parte dell'individuo creatore e allo stesso tempo un forte peso di responsabilità curanti da parte del dipendente. Questa dinamica, prolungata nel tempo, porterà inevitabilmente ad un tracollo della relazione, determinato dall'esplosione di uno o dell'altro ruolo a causa del forte e squilibrato peso portato.
L'individuo creatore potrebbe, ad esempio, perdere interesse nell'altro proprio perchè sempre presente.. e soprattutto denunciare la carenza di un'altra sponda trainante dall'altra parte, utile nei momenti di smarrimento, magari, assai frequenti durante la vita di tutti i giorni.
L'individuo dipendente, a sua volta, potrebbe soccombere ad un eccessivo potere di un creatore dispotico e totalitario magari..
In ogni caso prima o poi, disequilibrando in tal maniera le dinamiche della relazione, con molta probabilità il tutto giungerà ad un tracollo.
E allora a tal punto, come tutti i tracolli relazionali che si rispettino, verranno a galla tutte le dinamiche intrapsichiche, che porteranno, nei casi più probabili ovviamente, a riconoscere tutti gli errori commessi e successivamente, magari, ad un alto livello di consapevolezza che giungerà alla conclusione che forse durante tutto quel rapporto, quella relazione, si è risultati eccessivamente dipendenti dall'altra persona.
Ad un approfondimento ancor più intenso, risulterebbero, infatti, soppressi molti dei contenuti sopraelencati, quelli necessari, per l'appunto, ad una normale ed equilibrata difesa dall'esterno, quelli coerenti e presenti in ognuno di noi, atti ad un continuo distacco critico da ciò che ci circonda. Quelli che ci fanno riconoscere insomma chi o cosa siamo noi e chi o cosa è l'altro.
 Il discorso sarebbe allo stesso modo complesso e ricco di dinamiche anche in casi in cui, ad esempio, l'oggetto creatore di dipendenza venisse rappresentato da una divinità o da un ideale ad esempio.
Qui più che una relazione al collasso (cosa che in un certo senso comunque avverrebbe), si potrebbe giungere a casi in cui l'individuo, sentendosi privato di molte libertà e pulsioni a lui fondamentali, presenti vari disturbi, anche somatici talvolta, che non gli permetterebbero, ovviamente, di svolgere le normali attività della propria vita in maniera regolare, o di scomparire qualora vi fosse la necessità di restare in primo piano in alcune situazioni, di esporre il proprio ego o di esser decisi e forti nel prendere una qualsiasi decisione ad esempio.
Oltre i disequilibri creati nelle dinamiche di coppia, non sarebbero assolutamente da sottovalutare tutte le privazioni intime e necessarie alla cura personale a cui l'individuo andrebbe inconsapevolmente incontro.
Non riuscendo più a distaccarsi dalla dipendenza altrui, non riuscendo più a concepire una qualsiasi situazione di vita, interesse, impegno, al di fuori di ciò che venga vissuto in comunione con quell'altro individuo, la via più ovvia porterebbe ad una totale esclusione di tutti quei campi prettamente personali della propria vita, in cui la partecipazione dell'altra persona non è assolutamente richiesta.
Questi campi sono spesso rappresentati da impegni talvolta altrettanto importanti, come lavoro, studio, una passione molto forte e fondamentale per l'individuo, un impegno fisso, ecc.
Ciò comporterebbe dunque la perdita di tanti valori, che verrebbero temporaneamente messi da parte, a discapito della formazione personale dell'individuo e del conseguente riconoscersi in quanto entità singola indipendente dall'oggetto amato, che andrebbero quindi alla lunga a formare grandi lacune nell'interesse e l'autostima dell'individuo stesso, soprattutto dal momento in cui, come in tutti i rapporti di coppia, questa magia illusoria di simbiosi, semmai riuscisse a perdurare a tale squilibrio, scomparirebbe nel nulla, riportando a galla la concezione di essere comunque un'individualità singola.

Se, dunque, una eccessiva divinizzazione (molto spesso genetica o derivante da educazione) potrebbe portare l'individuo a perdere letteralmente se stesso, allo stesso modo si dovrebbero ben osservare tutt'una serie di grossi "vantaggi", o meglio ancora di grosse necessità, che ogni individuo ogni giorno della propria vita possa recepire da un qualsiasi essere o ideale elevato a "divinità".
Approfondendo attentamente questo lato dell'analisi, in effetti, si andrebbe incontro ad una legge dicotomica secondo la quale se un eccessivo comportamento nei confronti di un oggetto esterno comporta degli svantaggi, eliminarlo totalmente ne annichilirebbe il senso e di conseguenza la persona ad essa dedita, come osservato nel post delle "verità".
Una divinità per cui sacrificare la propria vita, infatti, per alcuni risulta assai simile ad uno scopo per cui esistere, ad un'ambizione per cui andare avanti, ad un senso totale e appagante da dare alle nostre vite.
In questi casi, come detto sopra, questa ambizione, questo sacrificio, risulta particolarmente forte e centralizzato.
Ora, esistono casi in cui questo scopo viene talmente centralizzato su un singolo oggetto, da portare l'individuo, come detto, ad escludere tutto il resto.
Ma escludendo temporaneamente questi casi, si potrebbe ben osservare come in realtà ognuno di noi in ogni istante della nostra vita necessiti assolutamente di una sorta di piccolo "dio" concettuale da adorare, per compiere ogni singola azione della nostra vita.
Del resto a nessuno di noi piacerebbe compiere azioni senza alcuno "scopo".
Beh, lo scopo, che sempre ci prefiggiamo in ogni singola evenienza, prende il posto di questo simbolico "dio" creato per l'adorazione. Così come adoriamo dio e nel suo nome svolgiamo le nostre azioni quotidiane, allo stesso modo adoriamo uno scopo e lo perseguiamo fino a raggiungerlo, quando possibile.
La differenza consiste sostanzialmente nel solito valore di intensità con cui ci prefiggiamo questo scopo, cioè quanto questo scopo sia fondamentale e centralizzato per la nostra vita.
Se questi riesce a raggiungere un livello tale da escludere il resto, si potrebbe parlare di quella deificazione sopraesposta. Se questi funge da semplice stimolo ed obiettivo da raggiungere al pari di altri, ecco allora che lo scopo di ogni nostra azione prendere il sopravvento.
Dunque uno scopo o un dio sono per tutti noi necessari in fondo.
Bisogna allora concepire come fare ad evitare che uno scopo (o dio) ci risucchi a tal punto da renderci suoi schiavi devoti. Bisogna cioè, in parole povere, imparare a concepire quand'è che ad un qualcosa che ci trascina e ci condiziona la vita in maniera asfissiante si possa anche dire "Basta!".
Il concetto qui si complica ulteriormente.
Sarebbe certamente utile puntare ad educare la propria vita verso un dio che punti a se stesso.
Senza indugiare troppo su concetti zen, il punto d'incontro potrebbe essere riuscire a compiere ogni gesto della propria quotidianità solo per il piacere di farlo, per il piacere di vivere, perché questo gesto risulti bello, gratificante, appagante di per se. Perché comunque ogni gesto della nostra vita comprende in primis "noi che lo facciamo"; e di conseguenza, trovandone un giusto equilibrio e punto d'incontro col nostro ego, è già valido, utile e consacrabile a "verità sacra" (o dio se si vuole utilizzare questa nuova terminologia) per il solo fatto che siamo noi, in tutto ciò che siamo in quel determinato istante, a renderlo reale, a viverlo.
Mi rendo conto che talvolta in alcuni contesti, non essendo nessuno di noi maestro zen, ciò non risulti tanto possibile o semplice, anche se un buon allenamento ogni giorno può certamente risultare vincente.
In ogni caso riuscire ad impostare la propria vita in questa direzione sarebbe già un punto di inizio molto interessante.
Seguendo un approccio più semplicistico invece, bisognerebbe educare la propria persona a riconoscere i propri limiti e a piazzare qualche allarmino più forte e squillante, da far scattare quando la situazione inizi a sfuggirci di mano.
Trovare il punto d'incontro insomma tra quello che noi siamo e vogliamo per noi stesso in quel determinato istante, e quello che quel determinato dio o scopo può darci una volta perseguito.
Bisognerebbe essere bravi, insomma, ad altalenarsi continuamente tra ciò che noi siamo adesso e ciò che vogliamo diventare, tra ciò che forma la nostra personalità adesso e ciò che potrebbe ricavare la nostra personalità da quel successivo scopo.
E' tutto un gioco di equilibri insomma, non facile certamente, ma nemmeno tanto impossibile come si pensi.
Posta una base di partenza di questo tipo, di certo vivere tutte le attività, gli scopi e le deificazioni necessarie alla nostra vita per darci un senso alle cose, e dunque darci la gioia di viverle, allo stesso livello risulterebbe un'opzione molto più gratificante ed equilibrata, atta a nutrire il nostro ego sotto più punti di vista, senza pericolose centralizzazioni e senza disperderci in nichilismi egocentrici che escludano l'utilità a tutto il resto.