lunedì 2 dicembre 2013

Spleen & Ideal: l'Insomnie du Décadent

Una volta mi chiedesti quali fossero i tuoi difetti.
Io ti risposi che non ne trovavo, non ne vedevo.
Dopo tutto questo tempo mi rendo conto che invece eri piena di difetti,
e che io non li vedevo,
perché li amavo tutti.


sabato 9 novembre 2013

Cose dell'Altro Mondo

Cerchiamo in Te ciò che non possiamo essere.
Diveniamo in Te ciò che non potremo mai divenire.
E quando raggiungiamo, ancora increduli,
l'essere, il divenire,
è con ciò che il sogno svanisce.
L'idillio va in frantumi
e ci trascina ancora a chiederci chi siamo,
proprio quando la vita ci dimostra di aver ben compreso.
Eppure noi, ciechi, biechi e ottusi, ci rifugiamo in domande
che annichiliscono la comprensione, ostentando,
perdendoci,
e cullandoci in faziose sinecure punitive che in tondo sfociano invano.
E mentre lo scenario scorre in silenzio attendendoci pronti alla scena successiva,
poniamo il punto su futili questioni, che di reale consumano ben poco,
che fagocitano, sciupando, preziose apparizioni e irripetibili momenti
e che ci ammaliano spingendoci a desiderare di vivere di bramosie irrealizzabili.
Finché ecco che di nuovo crediamo in Te, che per l'occasione ti vesti del nuovo Te,
rinnovato e più impettito adesso, conscio degli errori passati e delle occasioni perdute,
di ciò che poteva esser fatto e di ciò che non si sarebbe dovuto mai fare.
Sfoggi in bella vista un puro e candido vestitino, più accorto, gentile, sfizioso,
un po' elegante, un po' più dedito a mettere in mostra la fermezza più sferzante.
Il nuovo mondo è fatto, ecco adesso tutto è pronto per fare un salto
nelle acque della disperazione, ritrovandoci ancora famelici e romanzanti,
nel bramare un sorso, un piccolo sorso, che possa permetterci
di perderci in un chimerico mondo sognante.
Ecco chi sei Tu, ecco cosa sei. Ora ti vedo bene!
Ecco tutto ciò che cerchiamo in fondo, in Te.
Cerchiamo noi stessi, cerchiamo i nostri fantasmi.
Cerchiamo ciò che non saremo mai.
Cerchiamo ciò che, in realtà, non vorremmo mai essere.
Ma essere noi stessi? Mai!
Perchè?
Perchè la paura di perderci è il male, poichè la paura di muoverci è il male,
poichè la paura di muoversi e perdere parti che andranno a male...
equivale a morire.
Lasciarsi andare alla morte, non è peccato mortale.
Lasciarsi andare alla vita, non è peccato mortale.
Affannarsi per non morire, si, è peccato mortale.
Affannarsi per non vivere, si, è peccato mortale.

Soltanto vivere la vita nella morte rende vita alla pretesa impudente di esser vivi.

L'Ideal

martedì 5 novembre 2013

V(u)oto di Devozione

È come un virus,
una morsa struggente,
sento il mio corpo decomporsi,
degradarsi, sbiadirsi, dilaniarsi,
in un insieme di frammenti dai legami infetti.
È il marcire della carne
e degli strati nervosi,
che pian piano si irrigidiscono
e si scompongono
lasciando spazio al caos più totale.
Una malattia,
ti divora l'anima,
divieni un condannato terminale.
Provi a ricomporti,
affannato nel ricucire i tessuti
adesso sconnessi,
affaticato nel seguire le mappe
delle vie nervose,
a ricongiungerne ogni pezzo che
lentamente sfugge via,
si distrugge,
e non rende neanche il tempo per rendersi conto.
Sei vuoto adesso?
Non ancora.
Sei nel pieno delle forze,
ma queste congiungono tutte, lentamente,
verso l'interno,
si concentrano per corrodere
là dove il corpo pullula di vasi sanguigni,
là dove è il centro di ogni pia decisione.
Si muore.
Si muore dall'interno,
di un implodere su ciò che più ti incanta.
Il desiderio di una vita intera
rende la vita stessa un calvario senza fine,
una tortura in cui si muore
una tortura in cui la morte non è altro che l'inizio di un intensa fine.
Guardi il tempo che passa,
conti i secondi che ti separano dall'infausto destino.
Cosa fare?
Muoversi adagio, sorprendersi a remare controcorrente.
E se ciò non accade?
Arrendersi e perdersi nei profumi della sfuggevole bellezza
d'un essenza mai destinata a durare troppo a lungo.
Perdersi in questo mare, che più ti muovi
più affiorano verità indissolubili;
inoppugnabili certezze,
si affinano stucchevoli lame,
pronte a concedersi
un fendente che lacera il costato.
Ti stendi in un mare pietoso
di decadenze mai misericordiose,
ti arrendi o' fiero cavaliere
all'unica verità certa
che fortifica la rocca e dona la forza all'intraprendenza:
vai avanti, sollevi la dama,
e del piombo più cupo
fai l'oro da sciogliere in bocca.




sabato 26 ottobre 2013

La Tirannica Circe dai Pericolosi Profumi

Navigano i fiori della mia impotenza.
Del sublime, una passione
che di più non si può estendere il fato.
Il fascino, l'illusione
e la sfuggevolezza di un fiore mai domato.
Del diletto, vi si nutre con leggerezza,
del diletto, fa propria tutta l'ebbrezza.
La sofferenza, il patire,
un dolore,
che d'antico è stato scritto.
La bellezza ancora
di un tempo che ha saputo mai essermi distinto.
Io mi muovo adesso
tra vaneggio e vanità,
io mi trovo adesso
d'inettitudine e carità.
L'ascesa, la sensazione
l'esser canto per virtù.
Ritrovarsi in ebbre fronde
là dove il gioco spinge in giù.
Soffrire il fascino del disilluso non è cosa da tutti.
Mi ritrovo, mi ripenso,
ammaliato da qualcosa d'altro tempo.
L'essenza è già vista
la forma mi è assai nuova,
io mi perdo
e di me stesso faccio ammenda.
L'offensiva è un rivolgersi verso i muri.
Ritrovarsi ammaestrati
più da un cervo, che di bellezza
e perdizione
ha visto il tramonto in un turbine senza tempo.
Resta dunque il giro del centro
di un etanolo fatto d'ardore e commozione,
in un fetido imputridire
in una vita di ricordi dal tendersi ad orrore.
Salgo il balzo dell'oltretomba,
e prendo il cervo con tutto il cuore.
L'amore, l'amicizia, l'ardore,
d'una regina del tempo;
mi dissolvo nel dolore.
La strage d'un intero popolo
è cosa da nulla
per colei che sfugge.
L'annichilimento di un intero uomo
è vera goduria per colei che giunge.


mercoledì 16 ottobre 2013

L'Anatema di chinarsi a Nettuno

Poi arriva (in)giusto quell'attimo
in cui d'ogni cosa detta, fatta, percepita,
si fa un cumulo di macerie.
Tutto decade,
10 secondi per rendersi conto,
2 minuti per appurarsi,
altri 10 in cerca di verità,
poi allora quei pochi secondi di conferma.
Dunque le prossime ore sono tra lo sconcerto
e l'apprensione
di qualcosa che, non è ben chiaro come possa essersi verificata.
Rivelarsi in tal maniera, è un più che certo segno di un destino
che si diletta a prendersi gioco di se stesso, di raggirarsi
ed inseguirsi in un succedersi di apparizioni, immagini,
scorci rapaci,
o di manifestazioni idilliache, quasi fiabesche,
per poi infine riconcretizzarsi nella rotonditudine giornaliera,
quasi a testimonianza che allora tale miracoloso diletto è possibile
ed ha faccia altresì dura e concreta.
In un attimo, un solo attimo
ogni fatica è perduta,
dismessa nell'oblio,
nell'oscura rimozione, che va facendosi, a dir poco forzata.
Vani pure i tentativi, in disperata agonia,
di un'audace ricerca
dei mezzi perduti e degli appoggi edificati,
per scovare la chiave, quell'appiglio,
che all'attempata memoria avrebbero consentito redenzione
per tali peccati.
Così si conclude e si sfalda un cerchio
volto a sfatare il mito, il tabù,
e il qualsivoglia insfatabile,
rompendosi ad un tratto
come un elastico che, in fin dei conti,
troppo ha esteso il proprio corpo
e che troppo oltre s'è spinto nel volersi muovere e colonizzare
nelle terre più aspre,
ed impervie,
che la vita avesse potuto concedergli.
Il punto morale,
la voragine, è sempre aperta,
e chiama a gran voce nel risucchio di qualsiasi anima eroica
assorta in campagna di guerra,
riduce tutto alla solita sevizia, fatta di ricordi ed olezzi
di una storia che non si degna a metter fine.
Basta un gesto e il cesto
si rompe.
Ecco che allora giunge in tono squillante
la cantilena che inneggia all'ignobile sconfitta
ed alla condizione di eterna dipendenza
e di spettanza
ad un ceppo solido di mancanze,
e sinecure
di cui l'esistenza ha sempre fatto a meno
ed enfatizzato a gran voce la pura ed assoluta inesistenza.
Non è il gesto, non è l'attimo,
ma la condizione di un'eterna ostinata resa
nei confronti di una chimera mai destinata a slegarsi:
la consapevolezza,
l'Anatema di chinarsi a Nettuno.


"It's cold I'm afraid
It's been like this for a day
The water is rising and slowly we're dying
We won't see light again
We won't see our wives again"

sabato 12 ottobre 2013

Ode all'Arte Regia

L'arte è l'unico mezzo che permetta all'uomo di trascendere a Dio.
Quando l'opera è completa, ecco allora che la comunione è lecita di entrambe le parti.
Si potrebbe far dunque della vita un'intera trascesa a Dio e, di conseguenza, d'essa, una grande opera d'arte.
E dato che l'Arte è, in fondo, tutto ciò che l'uomo rende più divino di dio stesso,
si potrebbe dire che l'opera compiuta rappresenti, in ultima analisi, una trascesa da ed all'uomo stesso.
Dove ella porti è difficile asserirlo con certezza, ma dove essa faccia ritorno è ancor più evidente dell'atto stesso al termine del proprio compimento:
il divenire umano è il più grande Artista che il creato abbia mai messo in scena.


giovedì 10 ottobre 2013

L'Avvento del Tepore Purpureo

Impersoni un Signore dall'alito focoso,
discolo, impervio, impavido.
Non sogna, non si agita,
non s'informa, né domanda.
Della realtà fa propaganda.
Egli sa e sa di sapere,
conosce bene ciò che da intendere
si pone al tavolo d'esecuzione.
Allora si spiega, si snoda, si contorce,
ma mai si distorce,
né si annega nel masochistico sopore,
il castigo del mai sentirsi vivo.
Si inserisce,
sceglie il tempo, coglie l'attimo,
mette il dito
e disegna con ardore,
là soltanto, dove s'intende di tracciare,
e con penna fatta di aculei ed auliche finiture;
sceglie il suo tratto:
è nobile e sincero,
certo,
d'esso mai si dubita, d'esso mai si va a sorte.
Dipinge l'effigie d'un avvertito gentiluomo
dalle eroiche fattezze,
avventuriere e già arricchite
d'esperienza incettata in una vita vissuta in guerra.
Egli mai si spegne, mai si arresta,
e dell'animo
e del dominio altrui,
con voluttà,
modella i propri pasti.
Cumula prede su prede,
e miete vittime indistinte né disposte,
lenisce il proprio cuore
soltanto della gioia della conquista.
Cammina, cavalca, calpesta.
Nell'avanzare
ora divora la terra che ha d'innanzi,
la deruba del suo tempo,
ne deturpa poi gli avanzi,
arricchisce ogni istante
di una fulgida zampata,
che al più fragile zaffiro
pone il centro assai rovente.
Si nutre dell'attimo e dell'anticipo,
del furore, della bramosia
d'un briciolo di vita sottratto all'essere,
o al gioco, al diletto,
ad un debito che per tutta una vita
ha dovuto sentir saldato,
e che mai ha riempito le bache casse
di un'esistenza che ha mietuto il proprio corso.
Ciò che rigoglisce,
è la naturale prodezza
in cui lo sciogliersi è mai banale,
e assai lontano dall'incerta e colpevole beatitudine
che il Verbo, tra le ere,
ha giudicato mai degna di morale.
Un'anima ed un corpo
in fluida comunione,
sincera e candida con la natura,
d'un esser nato per le più pregevoli conquiste,
d'un esser volto all'egemonia sul mondo,
fatto per esser esso stesso un mondo rubicondo,
teatro di una scena assai cangiante,
in cui si è sempre in cerca di un inedito costume
e sempre a caccia d'un bersaglio sapido e appagante.
Egli è vivo,
ed in vita rinasce,
come l'araba fenice
arde in furia il proprio corpo.
D'esso genera le forze
e la tempra d'esser sempre acuto ed accorto
nell'atto indomito di alimentare l'inedia pungente
col ferino verso di annullarsi nel niente,
in un omicidio abietto ed essenziale
dall'encomiabile portamento claustrale.
Quindi ad esso compie ritorno,
dopo che dell'idillio e dell'apollineo
ne sia sì fatto il sonno
e nell'attimo che mette in luce le nefandezze
stringe a corte le più scomode incertezze.
Alla morte appende il giogo
e di essa si fa dunque gioco,
ne chiama madre in sé quest'una
cui, la fine di tutte le cose,
riaccende il senso ultimo in nuova luce;
la rossa tintura dona allo spirito quel tepore purpureo
di un eroe,
colui che da tempo il popolo tutto agognava a gran voce.

Ardeva costantemente un fuoco che lo rendeva incandescente.



mercoledì 11 settembre 2013

Il Manifesto contro la Scienza - Cap. 1: La Scienza come Certezza

La mia intelligenza non mi permette di dar credito a tale teologia denominata Scienza.
Ella giudica come insulto a sé medesima ciò che questa sottospecie di dottrina dogmatica conduce, con totalitaria freddezza, nel suo ossessivo, quanto irrisorio, bisogno incessante di possedere il mondo, di giudicarne le leggi, di ridefinirne, pezzo per pezzo, la storia di ogni fenomeno che per pura fatalità sussegue l'altro, come a voler asserire che ciò che governa lo sciogliersi delle cose possa esser messo a soggetto di tali smancerie, tra le più miserevoli che siano state mai proferite.
Così svolgendosi non giunge ad altro che al concepimento di un nuovo mondo sopra il mondo, che immondo è esso stesso per definizione, costituito da un velo di maya, invisibile quanto irrivelabile, e di questo muoverne le ossa ed estorcerne le leggi, per poi scioglierne i nodi assai intricati, ma che con lo stesso artefizio vengono già dunque costituiti.
Meschina e alquanto altezzosa, allora si estende la superbia assai vanitosa di prevederne eventi e situazioni altresì favorevoli, di aggrapparsi a mere superstizioni probabilistiche, battezzate "attendibili", con l'intento, così come il sussiego, di controllare ogni cosa del mondo stesso, di rinchiudersi in vani stolidi processi che circoscrivano un sapere fatto d'ignoranza e negligenza d'ascolto, ed arroganza conseguente, per ciò che realmente il cosmo muove, e per ciò che esso intinge nel suo crudele e cinico copione, fatto di atti non curanti né suscettibili a qualsivoglia domanda, ma consapevoli del loro intercorrere per esser nient'altro che sé stessi ed esistenti in quanto tali.
Come se l'utilizzo di simile appellativo bastasse a render grazia e giustizia alle più impensabili crociate, utilizzato a garanzia e giustificazione delle stesse, rendendo vane, cieche, infami, tutte le possibili vie che negano dal loro percorso un nome, un termine di così grande imponenza, approvazione, accondiscendenza, od addirittura fede!
Ciò che si evince è in realtà questione di scene, fraseggi, momenti d'azione, che si susseguono l'un l'altro, per permetter al loro io più profondo di non perdersi in labirintiche chimere colme dei sensi più insensati.
L'Uomo di Scienza bensì si copre di velli e pellicce fatte in verità di cataratta generata da chi osa volgersi con gusto alla cecità, e guardare, con occhi di chi non vuol guardare, l'universo e il suo scorrere nei dipinti dai più disparati risvolti.
Egli agisce a caso, e col caos s'accompagna in bisboccia, ed eppure si crede di dipingere col sennò di ciò che or ora avviene, con ciò che è avvenuto e con ciò che s'ha ancora d'avvenire.
Il sennò, se tale si può definire il dolore d'un pazzo che si crede un sano di mente, è poi soltanto quello di "poi", ma che permette al mesto uomo d'incensarsi di credo e credibilità, di cui si ciba la fama e il necessario erigersi a paladino del denaro breve e del potere tale di un popolo che si nomina da sé l'appellativo di solennemente eletto più d'ogni altro.
Non vi è nulla che sia più falso e più meschino di colui che si definisce tale e che tale non è affatto.
Ed è proprio di ciò che il vile Uomo di Scienza si nutre e con ciò innalza i propri castelli, retti da carte camuffate da salde cinte di mura, incapaci di distinguere, ahimè, la più tenue brezza del mattino dal più nero tormento di una bufera in pieno inverno.
Egli si definisce e con ciò difatti erra nella più bieca delle forme possibili, e non contento s'ostina nel definire tutto ciò che, come un avido Re Mida, pone in pasto al proprio tocco.
Egli presto s'accorge che, come l'oro, dell'affrancare non ci si ciba né si nutrono i bollenti spiriti, così come pare a chi di stupefacenti si nutre l'animo o s'affanna, delle più stucchevoli ricchezze, a far provviste.
Ogni essere è per definizione il solo e semplice artefice del proprio destino.
Ma così come egli è, è egli anche altri che di certo lo compongono e che si apprestano, fieri, a compiere già, anch'essi, il proprio stesso destino, di cui, a loro volta, non decidono per certo le loro sorti.
Non vi è nulla di più reale di ciò che si pone dinnanzi allo sguardo e che allo stesso tempo, dopo l'unico istante, svanisce in evanescenti fumi che altro non provocano che annebbiamento alla vista.
Ed egli, il nostro sagace(!) Uomo di Scienza, è di questi, codesti, fumi che nutre il proprio spirito, li inspira nel proprio corpo e da questi, codesti, indi da vita alla più sublime tra le sue creazioni:
la Merda, prodotta dall'enunciazione delle proprie leggi e da cui tutte le creature necessitano assoluta dipendenza.
Ordunque, "padre nostro che sei nei cieli", castiga tutti coloro che si attengono a cotanta sciagura!
Mostra loro il retto canto della tua voce, affinché si illumini in loro la consapevolezza di una tossicodipendenza dall'arroganza che non lascia alcun posto ai più semplici ed essenziali dettami esistenziali.

Dedico questo manifesto a ciò che vi è di più antiscientifico al mondo: il mondo stesso nella propria naturale essenza.
Poiché tutto ciò che è costituito contro la scienza stessa è proprio lo stesso universo che costoro cercano di indagare tramite il metodo sperimentale, o tramite l'occhio scientifico, o tramite le leggi ferree che danno credito ad un esistenza già colma di debiti inoppugnabili.
Poiché se domando loro di raccontarmi, tramite il loro occhio divino e infallibile, come sia possibile concedermi tutte le volte il tanto agognato risultato certo e garantito, o magari la stessa identica previsione, e in tutti i casi possibili (di quella eventuale categoria di eventi di intende), ottengo come risposta il concetto probabilistico di "più o meno attendibile", che affatto rispecchia quella portentosa definizione di esattezza, che poco spinge a favore del infallibile risultato certo, che poco conta per la mente scaltra, priva di affanno e priva di quel debole bisogno fanciullesco di protezione dalla natura essenziale di tutte le cose, consapevole ella (la mente..) della burlesca e triste sorte, riguardante l'inattendibilità di una probabilità che in fin dei conti si riduce al solo, puro, semplice, scevro, risvolto de: o accade, o non accade; ogni qualvolta vi sia un qualsiasi evento a venire.
Ed ogni qualvolta che vi sia un qualsiasi evento a venire, ed in questo si nasconde l'immane stregoneria(!), esso si introduce al nostro umile occhio pigro in forma sempre differente e priva di qualsiasi legame o legittimità d'appartenenza con l'affare che lo precede, o meglio, priva di qualsiasi possibilità di definirvi leggi che esulino il compimento dell'atto puro e solo ch'esso stesso (l'evento..) s'appresti a compiere indisturbatamente.
Evento unico, puro e raro, in tutta la propria bellezza! Quasi fosse un diamante dei più preziosi e ricercati..
Unico e raro in tutta la propria appariscenza, unico e raro per composizione, di eventi e prove sottostanti e che lo compongono, unico e raro poiché l'unico senso che sussegue è il senso che vogliamo noi arbitrariamente attribuirvi e nient'altro, senza alcun bisogno di innalzarlo a verità imprescindibile e divinatoria,
di cui sfarzosa è verosimilmente l'ignoranza che in fin dei conti lo compone, che ne mira le gesta e che ne annunzia il lieto fine.
Il mondo è siffatto di opere che si muovono e che scorrono in un lento e assai veloce fluire di eventi opposti e discordanti, ma che giungono al giusto compimento fintanto che si incontrino in matrimonio, da cui si evolvono risvolti dalle apparenze sinusoidali, ridondanti e costanti nel non essere giammai identiche a sé stesse.
Ecco, diceva egli, il saggio: "Questo è un pugno. Ma che cosa succede quando dischiudiamo la mano? Il pugno scompare."
E dov'è finito? Come fa ad esser scomparso?
Ecco che qui si ammira il prode miraggio scientifico.
Il caro pugno è sempre li, lesto ad essere richiamato al nostro servizio e al suo compito più essenziale:
esser posato in volto a chi si attiene a simili leggende, tali da volgersi ancor meno legittime delle più forzate citazioni favolistiche che la terra possa ancora rimembrare.



"Il vero senza menzogna, è certo e verissimo."



lunedì 26 agosto 2013

La Caduta

Camminare sotto la pioggia. Ecco che l'animo si schiude.
Passeggiare, lentamente,
muoversi,
assaporando ogni goccia,
lasciandola scorrere,
gustandone ogni sorso attraverso il proprio corpo.
Sentire
come l'acqua lo attraversi,
poggiandosi sui pori,
invadendoli, scivolandovi,
quietando la loro sete.
E poi chiudere gli occhi,
immolandosi,
distesi, nel camminare in un giardino dall'abito ducale;
assaporarne ivi il suono, e l'evolversi d'ogni passo,
favolistico,
meravigliato, da ogni centimetro che si tinge nel percorso.
E' il rumore della pioggia,
scrosciante, babelico,
non lascia spazio ad onda alcuna circostante.

Chiudo gli occhi adesso.
Le immagini scorrono, cambiano, si alternano,
non si arrestano.
Come tragiche diapositive si susseguono l'un l'altra,
in un automatismo unico e inesorabile
che non lascia la visione ad altra forma alcuna.
Qui si formano chine scoscese, percorsi impraticabili
per l'aspergersi dell'acqua dai bordi della strada.
Seguono, eleganti come cigni, gli aironi in discesa,
sulle acque candide ed evanescenti, in cerca di riparo.
Pallide, impassibili, apatiche, si snodano sui volti, le espressioni
di chi si annulla per diletto, di chi si cimenta per gioco,
donando a chi s'unisce al commediante, una ristrettezza d'animo assai marcata.
Coronati dalle bellezze, fatte dei corpi dei tempi andati,
i viali si dichiarano misteriosi ed impervi,
a chi giace in attesa, tra voluttuose effusioni,
d'immergersi ed in essi avventurarsi.
Retoriche sculture accompagnano la via
verso caverne ammaestrate,
il cui intimo è, di volti e posture, già abbondantemente appezzato.

Apro gli occhi adesso.
Il mio risveglio è un orrore
in cui calza un'oppressione assai spossante.
Guardare dentro
è cosa di immane coraggio,
l'anima è fusa dal tepore urticante
di questo gelido incanto.
Quasi fosse un sogno,
la veglia è carne cruda,
marcia e nauseabonda,
rimembra i dolori più prossimi
a colui che ora si desta.
Scrutando più a fondo,
la ricerca è di un barlume,
come in un pozzo,
dove del più nero si scorge il luccichio.
La brama lucente
dà la forza e l'ardore
di fiondare l'oscuro;
ma la ricerca poi s'arresta,
e lascia soltanto un senso di terrore;
è una carcerazione di cui l'animo
è fatalmente certo.

Lo sguardo investe l'inevitabile.
I suoi occhi non mentono,
d'atroce verità castigano.
Accecano la vista
e costringono le pupille dilatate
alla visione esasperante di quell'immagine
che darà cura all'erigersi della propria croce.
Nulla è più com'era dovuto.
Nulla tiene la sicurezza di un tempo.
La solitudine, d'un futuro disperso,
accompagna adesso l'orda di terrore
che sevizia il povero corpo.
La dipendenza, da un pubblico di burattini,
dona il fascino ed il dovuto lustro
all'opera mai compiuta.
La perdita, di quel calore,
di un regno che, oramai,
di liquami d'odio e disprezzo
accresce le proprie acque.
La verità ha cambiato volto,
e tra mille discerne le sue paure:
l'animo è il più grande prigioniero di se stesso.

                                                         
               

martedì 9 luglio 2013

La Passione del Pellegrino (#9)

L'aria, pesante in quella stanza, si contorceva di una quiete maniacale,
in un abisso ad interporsi tra i due mondi, di pace e di resa inoppugnabile,
e di debiti su hitleriani imperativi, affannando la vista di quella luce fioca
che traspariva dalle imposte quand'è già mattina.
Spasmodici episodi, nella stanza là di sotto, si contemplavano,
d'un'esibizione mai sperimentata neanche dalle terre più remote,
né nei villaggi dei tempi lontani.
Il tumulto andava avanti da giorni, nella sua turbolenza iraconda
e dunque un po' corrosa all'interno delle proprie viscere
d'un peso che la coscienza non poteva più sopportare,
stanca, sporca, avvilita,
da un coltello che aveva ben affilato la propria lama, nel tempo in cui decise
di andare più a fondo nel seguire il proprio sentiero.
Dolce, come la lacrima di una luna di vivo argento, la lama d'acciaio,
cocente del bollore dei propri spiriti rinsaviti, muoveva la propria spinta in direzioni ardite,
anche per coloro che bravi del loro coraggio s'erano mostrati già in passato,
là dove mai alcuno avrebbe più cercato quel puro luccichio,
sporco, adesso, di un sangue ferito nell'orgoglio, d'una delusione, d'un pentimento,
che in quel luogo perdevano la vista.
Celata tra i rovi, folti e acerbi, che si accompagnano al passo vertiginoso,
la pena inflitta giaceva latente da giorni e giorni, in una stanza che s'era fatta foresta
per l'innesto dei rami e dei rampicanti, fermentati in tale abbandono
da un sentimento forte e impetuoso, volto, monolitico, verso il proprio bersaglio,
per compiere, stolido, quell'opera di conquista che si prefiggeva già da tempo.
L'opera esibiva dunque una sinfonia del tempo, in cui, ad ogni stacco ed ad ogni battuta,
si curava, con gran premura, di infiggere polvere in un vaso che più tenuta non recepiva
e che dava, allora, stremato, attacco ad un fuoco così depravato e assai dissoluto
nel presentarsi con tale forma convulsa, privando, senza indugio,
d'ogni ristoro il povero viandante, orbo di veduta.
La campagna poneva lo sguardo al conflitto ultimo, agognato,
in una spedizione giunta al termine,
con la coscienza d'esser posta al varco della cecità e della veggenza,
d'un esistere fatto di confini ben marcati, e lacerati, già oltre quel che vi si potesse conferire.
Restava quindi quel barlume, teso, pallido, scialbo e ricalcato, d'una penna assai ossessiva
nel ricreare i lineamenti di ciò che poteva esser donato e che mai fu ricevuto,
in uno stato d'illusione e cedimento al nubifragio, che la cute stessa si rendeva lesta a testimoniare
e che l'addome prendeva in seria investitura nel suo teatro d'oscenità sublime, da render gioia
ad un più diletto Divin marchese, ligio goditore della scena più angosciante.
La luce fioca del mattino prendeva, dunque, il verbo, di ciò che dipingeva la sofferenza d'un infelice
stretto alla veglia, nel far luce, delle possibilità e delle lacune conquistate, per sopravvivere,
coi propri mezzi, alla stretta annichilente del destino, ferreo nel rinfacciare acutamente
le omissioni e le ottemperanze inadempiute, coi più cruenti artifici; austero, non curante
del lamento indolente d'un servo, congiunto alla propria sorte e assai sincero
nel voler mettere a sacrificio la propria salma per un gesto assai dovuto.
             
  

venerdì 28 giugno 2013

Le Tableau Parfait

Non vi è più triste sorte
di chi attende col cuore in mano.
Teso al filo dalla morte
innalza al tempo l'attributo di sovrano.
Scruta i fori della siepe
ogni dì, ricerca un segno invano.
Arranca i cumuli dalle crepe
e di sudicio riempie l'animo profano.

Pone dunque la domanda
di che il cuore duole e di che mal s'affanna,
Trova una risposta blanda
di un dolore che urge cura e che rimedio osanna.
Chiude gli occhi nel sopore
quasi a render giusto ciò che può definir condanna,
Prende atto dell'orrore
del voler gridare amore e del silenzio che l'animo si danna.

Guarda allora in fondo al cuore
sente il verbo ardere il rimpianto e dissolversi nel dolore.
Scorge in esso un puro amore
per colei che ha perduto in un tramonto assai incolore.
Chiede atto del valore
d'un sentire che supera il supplizio ad ogni malore.
Esige un gesto di grande onore
un richiamo importånte di una scelta e un desiderio di congiungere tanto fervore.


martedì 18 giugno 2013

Il piccolo Fante devoto a Marte

Sto imparando a concepire la terra, gli elementi, il mondo paterno.
E' per te che ogni giorno è un travaglio asfissiånte, per esser ciò che voglio;
è ciò che devo fare per amarmi, ciò che richiede questo mondo.
Mi stai insegnando molto, più di quanto avresti mai potuto immaginare.
Mi state insegnando davvero tanto, anche a distanza di molti anni.
Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato questo momento
di confronto e di passione con le mie anime passate.
Anche se questa è la fase embrionale, ed è soltanto la fase più nera dell'intero processo,
fa parte del sacrificio che bisogna compiere per risplendere in gloriosa sorte,
tutto, come un tempo.
Cavalcare un'era, puoi ben capire, non è facile.
Eppure è ciò che mi spetta, so che è il motivo per cui sono nato.
Perdonerai i lunghi silenzi, ma la mia penna non si prende più molta cura del proprio inchiostro.
Sono pochi i momenti in cui prender aria, il resto è travaglio per far proliferare i raccolti,
quelli della terra, quelli di cui ci si potrà nutrire, stavolta.
Il lavoro dei campi, lo sai, è molto impegnativo e sfaticante.
Prosciuga tutte le energie, ti porta a casa stravolto e quasi talvolta atrofizzato nei sentimenti,
perché pensi che tutto ciò per cui stai seminando potrebbe non vedere mai la luce più in là.

Oggi l'ho visto, sai?
Ce l'ho fatta, finalmente, è accaduto.
Mi ha chiamato, ma così forte da non rendersi conto che adesso potevo anche scorgere il suo viso.
Cosa ho visto? Ho visto tutto e niente da cui potessi discernere qualcos'altro.
Era fuoco, fuoco e fiamme!
E cercava qualcosa.. qualcuno, in preda all'ira, disperato, dannato.
In cuor mio, sapevo d'esser ciò che cercava, sfaldandosi
e trasmutando le sue braccia in catene fiammeggianti, ch'egli lasciava scorrere tra i fiumi della città.
Mi scorgeva appena, e potevo sentire il suo grido iracondo giungermi fino alle orecchie.
Era come un forte e severo richiamo per il mio corpo.
Eppure, qualcos'altro ancor più mi ha sconvolto..
Egli era più qualcun'altro, di cui già avevo visto corpo e animo, lo spirito.
Pareva la stessa persona, qualcuno disse che si trattava di due gemelli.
Io non so ancora se costui dicesse il vero..
So soltanto che sto imparando a conoscerlo, e a prendervi parte.
So che nel farlo sto perdendomi tra i fiumi di lava della sua strangolante escandescenza.
Non vedo più, da giorni, forse mesi. Né respiro.
Solo i fumi solfurei di quei luoghi così infestati di tanfo e catrame e ricoperti dai ciottoli ardenti.

Adesso ho capito che la sua era è giunta.
Sta cominciando il suo cammino, è pronta la sua marcia, ed io sto prendendo parte al nuovo inizio,
come lo schiavo che percorre il sentiero che lo porterà al suo eccidio.
Il padrone ha aperto gli occhi, ha risvegliato in sé la propria era.
E come ogni nuova era porterà stragi di mille corpi,
e non si sa che direzione deciderà di intraprendere.
So solo che Lui sa. Ed io con lui, qual è il mio destino.
Non mi resta che scoprilo, qualsiasi sia il prezzo.
Sento che, anche se volessi, non potrei privarmene, poiché Egli è parte di me.
Forse mio padre, forse mio fratello, forse qualcuno che venne definito
Re Sole, un tempo.

Il piccolo Fante devoto a Marte


<< Un profeta non è colui che predice in modo sensazionale cose a venire, ma un visionario che indaga sulla vita degli uomini e delle nazioni e sa come raccontare il tempo storico. Egli interpreta il destino dell'uomo nei termini del suo passato, e richiama gli uomini all'azione, oppure li esorta alla pazienza, poiché vedendo le cause spirituali al di là degli effetti temporali sa quando è giunta la pienezza del tempo >>

sabato 1 giugno 2013

Il paese del silenzio e dell'oscurità

Il caos primordiale:
il silenzio, l'affanno,
il largo respiro.
Il fremito inarrestabile:
spasmi, dolore,
le mie gambe.

S'acuisce il petto,
estorce il respiro,
preannuncia l'implosione.
La fuga,
il tentativo superbo,
sfuggire al destino.
La prigionia
quell'attimo supremo
sull'anima mia sconfitta.
E il morire,
esaurendosi, contorto
a richiamo del rifugio fetale.
Ricomincia ad ogni episodio
narra la caduta,
e da capo esegue il proprio cerchio.

Poi si spegne,
e spegne con sé la vita,
lasciando solo un velo opaco ed insapore.
S'accresce il terrore,
l'angoscia
giunge la paralisi.
L'unica certezza
la scintilla,
è la solitudine:
enorme,
forte,
devastante.

La cecità dei sensi.
L'esplosione,
violenta,
assorbe in sé
ogni fatica.
Annega
in una scarica elettrica
indomabile.
La più grande calamità
giunge e fa
strage di innocenza.

Non c'è via d'uscita.
La paura prende forma viva quando l'Anima progetta il proprio omicidio.



domenica 5 maggio 2013

Deus Sol Afflictus - Il Canto del Sopore

Continuavo a sognarla tutte le notti.
Dal sogno, il dipinto dagli aurei risvolti
dava risalto al disegno di un'ineccepibile natura
d'un sorriso d'ineffabile avvenenza,
nelle forme e nelle caldissime sensazioni
del sole a primavera svelata.
La casa si spandeva di quella luce raggiante
cui le ombre si prestavano a favore alla vista,
notando definizioni, curvature e forme sinuose,
a far da guide nei percorsi,
tra i lucenti nastri dorati.
Lì nel tramonto
di sguardi e di gesti d'un'euritmia ottocentesca,
volgeva a riguardo una mano,
d'una movenza regale,
dall'intento divino, nell'atto divinatorio
dell'attimo d'intesa, tra due anime congiunte.
Lì nel connubio
la sublimazione del capo dorato
l'abbandono ad una sorte
sicura, confortata,
ad un abbraccio
più edotto sul ponderånte tesoro custodito.

Dal riso non nasceva parola,
né proferiva verbo,
eppure d'un discorso iridescente
si avvaleva la schiera dei miei fuochi,
fatto di quel silenzio loquace più di mille parole,
del mutismo di quei 4'33" che rendono grazia
ad un capolavoro d'altri tempi.
E' un suono assai assordante ma che rende ardenti
tutti quanti i sensi,
e che li orchestra in un solo istante
ad una convergenza totalizzante,
che da la forma ad un'immagine
dalla naturalezza d'un pleroma percettivo,
e dal tepore paradisiaco.

L'immagine muta è il mio posto,
con lui c'è la mia casa,
e con lei ci sono io,
con tutto ciò che una vita intera
può spingermi a cercare.
Si tratta d'un solo istante,
che come acqua a goccia s'espande,
forma un corso che arpiona il tempo
in uno scorrere di sensazioni
che si spingono oltre le dimensioni.
Il tempo s'arresta.
L'infinito fa presidio d'ogni forma e sostanza,
scelgo allora di assecondare la corrente
delle grida che si propagano nell'etere siffatto
di connessioni, legami, comunioni
con la sua voglia d'esser mia parte indissolubile,
ma in stesso luogo scindibile
nel prender parte alla pura contemplazione
del nostro essere due eoni e cosa una soltanto.
Si levano gentili i due spiriti,
e ad ogni arco
bramano complemento e contatto,
e là dove forte è il sentore
dell'anima solitaria,
si abbandonano e si ritrovano nel perdersi l'un l'altro,
in un palcoscenico di giochi e di parti,
in cui si alternano negli atti.

Nasce solo una musica
eseguita senza toni,
che s'accompagna alle scene oniriche
di un matrimonio dal battito irreale.
Resta solo un rimpianto,
d'un silenzio vero e puro,
in cui manca la tua voce,
il tuo sorriso,
il rendermi tuo soltanto,
ed in cui prendo atto del tempo
dissipato nelle ombre
di vecchi spettri del passato,
nella cui attesa straziante
prendo spiro dal vento
simulato alla neve
disciolta ormai sui i tetti,
e le scale di luoghi
le cui storie verranno in eterno
narrate ai passanti.




domenica 28 aprile 2013

I Dolori del Giovane Verne


                                                                                  15/02/2008.

Caro Wilhelm,
Col passare dei giorni e dei mesi, sempre più mi rendo conto che questo posto e questa mia nuova vita..
mi uccidono.. e non fanno altro che cambiare la mia persona.. sgretolandola e disperdendo ogni singolo 
pezzo nell’etere…
È come se, per sopravvivere, io mi debba adattare e, se necessario, disintegrare, per stare dietro ai ritmi
e al modo di vivere di questo posto.. che ti mette costantemente alla prova, giorno dopo giorno, 
senza darti un attimo di respiro, un attimo di tregua.. aggiungendo anzi nuovi problemi, paure, 
pensieri ed innumerevoli cose da fare.. che pian piano ai tuoi occhi si trasformano sempre più in cose 
da “superare”…
E cresce, di continuo, il dubbio che il tutto, prima o poi, ti porti al collasso finale..
È come stare sempre in corsa… e ritrovarsi perennemente nel ruolo di una tartaruga.. 
col suo guscio enorme, la propria anima.. il proprio mondo.. i propri tempi.. 
i propri modi di fare, vivere, parlare, conoscere..
Ed ovviamente esser sempre in ritardo..
E, mentre tutti questi problemi tendono sempre più ad ammassarsi, gli altri riescono a stare 
sempre al passo, forse perché già abituati da tutta una vita..
E' come se avessi sempre dietro una terribile ansia di fallire, di non essere all’altezza, 
di deludere qualcuno, di deludere tutti… di deludere me stesso.

È tutto così strano per me…
Come ben sai, son stato sempre uno che ama tenere tutto sotto controllo.. sotto i propri occhi..
Obiettivi, speranze, possibilità.. gli amici, gli amori.. tutto…
E sono sempre stato uno che… con qualche difficoltà ogni tanto.. è sempre riuscito a mantenere 
costante questo controllo.. il quale fungeva da guscio, da sicurezza e allo stesso tempo da forza 
e da stimolo.. in quel meraviglioso progetto che si prospettava la mia vita..
C’è da dire, è vero, che i fallimenti son stati non pochi… ma per quanto mi abbattessi.. 
mi bastava un periodo o magari un altro spiraglio per superare il tutto e cercare di ripartire alla volta 
di qualcos’altro… e se davvero tutto andava male beh… semplicemente mi prefiggevo un obiettivo 
a lungo termine.. e ponevo i miei appigli su di esso..
Ero convinto di averne passate davvero tante.. troppe.. di aver posto all'estremo, al limite, 
la mia persona.. di aver sperimentato molte cose delle quali io stesso mi stupivo e ancora mi stupisco..
Eppure un nuovo capitolo del mio dilemma esistenziale mi si pone davanti agli occhi…..
e stavolta non capisco davvero come o dove o soprattutto “perché” dovrei uscirne…

In realtà tutto questo periodo in cui non ci siamo sentiti è curiosamente coinciso con un periodo in cui, 
anche sentendoci, non avrei saputo cosa dirti.. riguardo la mia vita o cosa io abbia deciso di farne 
sostanzialmente..

Come ho già scritto, in vita mia, ho perso speranze, amori, amici, stimoli ed energie 
e sono arrivato persino ad annullare tutto e tutti per qualche mese.. nel mio famoso periodo nichilista..
Ero convinto di aver provato davvero tutto.. per quanto nella vita poi, a provare tutto non s’arriva mai..
E se c’è una cosa che in 20 anni non ho mai perso.. di sicuro si tratta della mia voglia di vivere.. 
di ricominciare.. di sapere cosa sono e soprattutto cosa voglio… e pensavo che almeno queste cose.. 
per quanto potessero, ogni volta, cadermi macigni sulla testa.. avrebbero sempre rappresentato 
l’unica cosa “certa” nella mia vita..

Eppure, la vita riesce a sorprendermi ancora..
Perché queste cose.. sono state spazzate via dal mio arrivo qui.. 
da questo periodo di vita.. da queste mura.. da questa città e da tutto quello che qui mi circonda..
Non so più chi sono, cosa voglio, chi sono i miei amici, 
chi sono le persone che amo, chi sono le persone che semplicemente conosco….
Come se tutte le cose che ho costruito, le amicizie che ho formato, le persone con cui ho legato, 
le esperienze che ho vissuto, sia con gli altri che da solo, le cose a cui di più ho tenuto… 
adesso non contassero più..
Come se fossero cose talvolta inutili, talvolta già passate, già viste, poco interessanti.. 
come se fossero semplicemente lontane ed escluse da un mondo cinico e distaccato, 
che pensa solo al presente e al ritmo frenetico che lo contraddistingue…

Io sono quello che parla attraverso canzoni… attraverso immagini (talvolta d’arte), attraverso sensazioni.. 
ogni tanto attraverso parole..
Sono quello che adora sognare e che spera ogni giorno che qualcosa di straordinario 
accada nella propria vita e in quella delle persone che mi circondano…
Sono quello che vive per la musica e l’arte..
E in questo luogo non c'è spazio così per me..
E credo sia questo ciò che m'affligge più d'ogni cosa... il mio non esistere in questa terra.. in questa città..
Ma ti assicuro mio caro.. che, per quanto molto spesso perderò la vista, nessuna persona 
potrà mai cambiare ciò che sono… o almeno non queste cose così importanti per me..
Oh caro Wilhelm, io te lo giuro, nessuno potrà mai togliermi davvero ciò che io possiedo di me.”



Oh, caro! In questa incertezza mi smarrisco, 
e tuttavia è questo il mio conforto; 
che forse essa si è voltata per cercar me! Forse.

lunedì 1 aprile 2013

The Sublime

Io e te.
Soli, qui, adesso.
E' giunto l'attimo del nostro atteso confronto.
E' giunto l'attimo del più auspicato conforto.
Prendimi,
stringimi,
abbracciami.
Invitami gentilmente
ad udire la tua voce,
atta nell'intonare
gli avvolgenti versi ancestrali
che vagano tra i giardini impalpabili
delle tue spire.
Travolgimi,
affidami il peso delle tue emozioni,
e concedimi l'onere dei tuoi sentimenti.
Vincimi,
ma lasciami l'unica possibilità
di lottare per il mio posto,
e rendimi l'occasione
di assaporare il valore della mia fine.

Conservami la possibilità di amare,
e rendimi ancora la possibilità di amarti.
Lasciami sentire..
Lascia che io senta
ciò che pulsa dentro te.
Lascia che io senta
ciò che sanguina dentro te.
Lascia che io senta
la tua carne, il tuo corpo.
Voglio sentirlo dall'interno.

Allora parlami.
Parlami dei racconti
che porti dai mari lontani,
parlami dei racconti dei monti,
delle colline,
dei prati che hai già attraversato,
lungo il tuo eterno e maestoso sfilare.
Poi uccidimi.
Concedimi la dolce morte,
che solo le tue labbra
possono consacrarmi,
rendendo ogni secondo trascorso
immerso nella più estrema gratitudine.

Ti prego amami.
Amami con tutta la tua essenza.
Amami adesso
e lascia che entrino in me le tue ricchezze.
Lascia che mi attraversi
la forza eterna, devastante
e corroborante
della tua natura.

Amami ancora.
E concedi alla tua devozione
di donare alla mia pertinacia
la tua gemma più preziosa.
Fa' che questa gemma
imbeva me di vita eterna.
La vita eterna di questo sublime istante
trascorso nel connubio delle nostre braccia.

Quello che hai fatto oggi
è il passo che manca alla tua vita
affinchè sia completa.
Lo sguardo rivolto
verso la morte,
e l'animo diretto
verso il privilegio 
di assaporare ogni brezza ch'ella ti porti.
Goditi il momento,
e ascolta il senso della tua vita 
scorrere in quell'istante. 
(a te, C.I.)


domenica 24 marzo 2013

I Colori della Passione

Il verde, non verde.
Si colora di blu.
Si spegne nel grigiore.
S'assottiglia nella tenue nebbiolina.
La luce fioca del mattino,
la luce fievole del tramonto.

E' il Mugnaio che con le sue pale
dà il via all'atto creatore.

E la stagione di mezzo,
nel suo fluire,
dona allo spettacolo quel rossore
quasi impercettibile,
ma così denso e vivo, dietro tutti gli altri colori.

Crea con ciò un misto di sfumature,
di connessure striate
dove un filo d'erba assume più colori
ed uno soltanto,
nel medesimo istante.

Tinge allora i suoi campi d'un immagine assai desolata,
pregna di solitudine e malinconia.
Li riempie di spazio.
Di senso del non essere,
che per propria definizione
è ben legato all'essere.

E' il senso del non esistere,
in un mondo in cui s'è condannati ad esistere.

Il Verde condanna i poveri campi
in questo limbo d'impercettibilità,
di disillusione,
di una continua, inesauribile tendenza
a prender atto dell'ingiusta sorte,
del loro essere incatenati.

E allora quel che resta ai lunghi prati,
ai paesaggi, agli alberi, alle boscose colline
è di estendersi oltre il sensibile,
oltre ciò che la percezione rende possibile,
alla ricerca continua ed estenuante
di ciò che, un giorno, possa finalmente
render loro il premio per cui anelano dall'alba dei tempi:
sentir scorrere i colori della passione tra le pieghe della loro vita.


La Sagrada Família

Penso che esser Madri di se stessi
significhi accettarsi in tutta la propria totalità,
per quello che si è in quel momento.

Penso che esser Padri di se stessi
significhi agire e seguire la via
per cambiare tutto quello che si è in quel momento.

13/07/11   PA   3 PM.

SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS

giovedì 21 marzo 2013

21 Marzo, Æquinoctium

E' quella scarica
folgorante
fulminea  
intensa
e mitigánte
che porta perfetto compimento all'estenuante ricerca
del lavoro di mille giornate.
Riempie ogni vuoto del giusto tassello,
di cui questa rappresenta l'ultimo
in ordine di grandezza ed importanza,
nonché successione,
di un assai intricato mosaico,
che talvolta la natura, l'animo, il mondo,
tesse servendosi di più elementi,
i quali, in maniera non del tutto casuale,
tendono a farsi riconoscere,
tra le spire che si intrecciano nell'opera aurea
della creazione.

In cerca di uno spazio.
Si schiodano percorsi,
di luoghi già conosciuti,
che una volta erano sacri.
Adesso il loro valore si riempie
di nuove verità, di essenze,
momenti unici,
ancor più veri di tanta crudeltà,
che l'etere a volte nasconde.

Nasce una casa.
Si edifica il tempio.
Si eleva lo spirito,
e si abbandona
alle danze delle driadi,
tra i canti delle silfidi,
in un luogo incantato in cui l'attimo si prolunga a tal punto
da volgere il suo percorso verso l'infinità dei monti,
là dove gli occhi bramano il poter assaporare
con fervore
ciò che la terra offre alla vista ed alla grazia dell'animo gentile,
in quei luoghi così sperduti.

Fatta la scena,
si smuove la tragedia,
va come i greci enunciavano da tempo
e chiude le tende sullo sciogliersi delle strade
che accompagnano la via al povero viandante senza dimora.
Ma prima che l'atto sia giunto al termine,
v'è spazio per l'ultimo fiato,
dell'invidia e dell'affannata ricerca,
cui la consapevolezza giunge a rimedio
spegnendo ogni sentenza,
ma la cui stessa nulla potendo su tale
Avvenenza
natura
trascorso
e verità dispiegata
di quell'attimo fugace e da me rapito,
si china il capo in segno di riverenza
per ciò che al tempo si poté definir amato.

"La Vostra Tomba è un'Ara"

lunedì 18 marzo 2013

Aletheia - Il Viaggio dello Spirito

Ogni notte io lo sento.

Lui mi parla. Mi racconta.
Delle avventure per cui è stato forgiato.
Si pronuncia con tono fiero e ardito
su ciò che l'universo ha tracciato per lui.
Sulla via che è già scritta,
lì, tra le stelle.
Non da qui, non volge sguardo al cielo.
Lui quella via l'ha già percorsa dice,
la percorre da allora ogni giorno.
Narra anche alcune storie,
alcune avventure già vissute..
in cui il suo scettro ha portato il peso di mille battaglie,
in cui la sua lama ha trafitto e attraversato
il cuore d'ogni anima che gli si è posta in fronte.
Si piega poi.
Si stringe al petto,
per tutte le volte che l'acciaio ha varcato il limite
di ciò che abbevera le vie del mondo.
A volte lo sento anche tuonare,
come un vecchio che oramai nessuno ascolta.
Racconta i conflitti, le infinite liti,
col suo più sincero fratello.
Di come s'è fatto scudo e armatura,
una volta,
per fronteggiarlo.
Di come da allora veste spesso questa infausta veste.
Dice del fratello come un tiranno,
che nei secoli ha usurpato via tutto il potere.
E del Regno non vi è rimasto molto.
Lui sa che l'amor fraterno è la vita che scorre in lui.
Lui sa che non v'è Uno senza l'altro.
Ma la grande guerra fra i Signori va avanti sin dalla prima era.
E quand'è pace, ecco che i frutti si fanno maturi.

Lui mi parla. Mi racconta.
Ogni notte narra il Viaggio dell'Eroe.
L'Eroe sa, dice, d'ogni cosa.
L'Eroe sa, dice, la missione che ha da compiere.
L'Eroe sa, dice, per cosa è venuto qui sulla terra.
Perchè s'è fatto dall'uno il due e perchè dal due arde a raggiungere il tre.
Sa che la morte è la sua più grande compagna. Ch'egli nasce per morire.
Dalla morte genera vita e amore per suo fratello.
Sa che il quattro genera vita e amore per il Cosmo.
Dieci è la sua fine.

Lui mi parla. Mi racconta.
Ogni notte di Aletheia.
La città incantata,
a cui ogni Eroe guarda con ambizione.
Dice ch'ella è il vero Solido Platonico.
L'Arte Regia incarnata in un luogo sepolto.
E tocca allora all'uomo, all'Eroe, oltre varcarne il limite.

Egli è vivo e si corrode.
Egli è vivo e si nasconde.
Egli è vivo e mi chiama a compiere il mio cerchio.


"Vi Veri Veniversum Vivus Vici."



lunedì 4 marzo 2013

Зеркало | Zerkalo

La stavo aspettando da troppo tempo
e ho capito che non sarebbe mai arrivata.
Ho capito che era inutile
sentire, prestare ascolto,
se comunque la sua voce
mi avrebbe sempre chiamato col silenzio.
Io aspetto nei luoghi, attendo nei momenti,
ma vedo solo la mia immagine riflessa
in uno specchio di parole,
fatto di sentimenti, di proiezioni
e dell'immagine di ciò che vorrei avere.
Discendono per me le lunghe nebbie maestose,
percorrono con leggiadria lungo i colli toscani.
Li annegano e li riempiono,
nella loro vastità li sovrastano.
Penetrano le mie vie respiratorie,
ravvivano l'ossigeno che da cibo ai miei polmoni.
L'animo si nutre di forme, di apparenze
e di una sensazione di comunione con la solitudine.
E desidera tanto colmarla,
ma la sola attesa che dallo specchio l'immagine riprenda forma viva,
non basta a scioglierne i fiumi che bagnano giù a valle.
Servo allora il mio desiderio di solitudine,
il verde ingrigiato dei monti,
tra la foschia,
compensa questa mia vocazione di sentirmi libero.
Spezza le mie catene
e dona all'anima lo slancio più profondo
che da sempre invoca.
Ricordi il rintocco della campana nel mezzo della notte buia?
Là dove l'ombra e il silenzio facevano da servi alla malia della notte scura,
là dove le piccole luci facevano da cornice ad un'estrosa quiete,
ecco, questo è lo spiraglio di cui da sempre è in cerca l'anima mia,
il salto in quella realtà fatta dai sensi, in quella realtà oltre i sensi
in quella realtà in cui i sensi perdono ogni ragione,
in cui si perdono nel festeggiare l'eterno scorrere di ciascun istante.
Il campanile ha ancora scandito delle note per me,
edificando quest'oggi una melodia fatta di gioia
e assai festosa
nel celebrare il mio matrimonio
con il cielo e con la terra.
Mi ha accolto
e nell'oscurità ha acceso nuove luci
ad illuminare il mio cammino,
lasciandomi così disteso nel suo grembo
fatto di pietre,
di rocce e piccoli fili d'erba,
dandomi conforto tra la sua fiorente terra straniera,
offrendo un riparo al pellegrino poggiatosi sul muricciolo;
là dove la mia casa ha trovato la sua giusta posizione,
là dove la mia vista ha fatto buon pasto
nutrendosi dei fumi
lasciati al viandante
dalla verde terra gigliata.

Capire Tarkovskij...


venerdì 1 marzo 2013

Abraxas - Il Capo dei Cieli

E poi.. trovi Dio.
Così all'improvviso.
Quando tutte le cose decadono.
Quando ti senti solo, così solo che neanche l'illusione oramai basta a distrarti dalla più terribile delle sensazioni.
Ti sdrai in un letto. Ti contorci dal dolore. Stringi forte il petto.
E' lì che senti una morsa, una morsa intensa.
E' lì che la metafora s'è fatta realtà.
Senti stringersi la carne, senti esploderti il cuore, senti che qualcosa spinge dentro e toglie il respiro.

Panico | Silenzio.
Il tuo disegno ricorda adesso la posizione fetale.
E' quella a cui ricorri quando non hai più frecce al tuo arco.
E' la difesa tra le difese.. quando neanche l'intelletto sa più trovare soluzione.
Quando anche l'istinto percepisce che non c'è nulla da fare.
Non senti dolore. La tua mente è assorta, non sa cos'è il dolore.
Ti senti morire. Sul serio.
E anziché disperarti lo accetti. Ma all'improvviso ti rendi conto che non ci riesci.
Che stavolta è diverso. Che non è la solita commedia.
Il tuo istinto alla vita rema contro te stesso, ti spinge, ti sbotta, ti costringe.

Disperazione | Ascolto.
Non è la solita opera dalla melancolia. E' disperazione pura. E' dolore, solitudine, morte.
Va tutto oltre.
Oltre quello che vuoi fare. Oltre quello che puoi fare. Oltre ciò che riesci a fare.
E quando il destino ti spinge così tanto oltre.. è lì che scopri cos'è la vera paura.
E' li che scopri che tutte le tue pene non sono altro che espedienti per riempirti la giornata.
E' li che scopri che tutte le motivazioni, gli stimoli, gli scopi.. sono solo pretesti per non sentire la pura condizione umana confinata alla sadica solitudine.
Sadica perché conscia della propria appartenenza celestiale.
La solitudine accompagna la morte come una sorella. Non la lascia mai andare, neanche per un'istante.
Quando si muore si ha paura di morire e si ha paura di restare soli nel morire.
Devi spingerti oltre la solitudine, devi spingerti oltre la morte per capire.. per sentire! Che tutto ciò di cui eri convinto e che pensavi di essere non ti appartiene.

Morte | Fusione.
Pensi di aver sconfitto Dio, stavolta per sempre. Lo senti, sai che è così per te.
Pensi che sia affare che non t'appartenga, che sei tu solo il solo Dio qui presente, che conta tutto sulle proprie forze.
E capisci che mentre giochi come il bambino ad affrontare l'avventura, il vero grande genitore è sempre li che ti osserva e guida il mondo trascinando te.
E quando allora giunge il pericolo, quando il gioco si fa mortale, ecco che il genitore, la madre, il padre, crea la culla fra le sue braccia, pronto ad accogliere ogni tua paura, ogni tuo pianto, ogni tua lamentela.
Senti il legame col tutto.
Cogli ciò che ti permette di sentirti vivo.
Avverti ciò che ti permette di non sentirti mai solo, di amarti, di sentirti essere parte di un tutto.
Questo è Dio.
Dio è questo, Dio è congiunto col tuo Dio interiore.
E' il Pleroma Paradisiaco.
E' l'unione di Dio con Dio. In tutte le sue Emanazioni.

La paura, la morte, la disperazione.
Queste sono le porte.
Il silenzio, l'ascolto, il fondersi.
Queste sono le chiavi.

Terrorizzarsi e zittirsi.
Perdersi e ascoltare.
Morire e fondersi.

Basta stare fermi e sentire Abraxas che ci chiama.

the end of all things

giovedì 14 febbraio 2013

Ecce Florem

Dei tuoi petali rimane solo ciò che sussurra il vento.
Ma è già da un po' che sento fremere le sue grida.
E' il canto degli uccelli.
E' la Tua divinazione.

martedì 22 gennaio 2013

La Scatola

Un altro pezzo di cuore andato perduto
lungo il mio Peregrinare.

Che c'è nella scatola?
..molto dolore.

Ciao bambina.

sabato 19 gennaio 2013

Nero

Il colore delle tenebre.
Le tenebre affogano di colore.
Assorbono dentro ogni riflessione.
La proiettano dove la luce non ha mai preso posto.

Soffocano.
Occludono ogni via respiratoria.
Consumano.
Bruciano dentro ogni restante forma di vita.

L'acqua si muove, rinuncia al proprio corpo
straripa i propri argini.
Investe e annega sul proprio cammino.
Reprime la libertà del proprio respiro.

Claustrofobia.
Non c'è aria, non c'è respiro.
Solitudine.
C'è troppa aria, affanna il mio respiro.

Cosa resta dentro?
Impiastri, inchiostro, indigesti.
E la fanghiglia ti ha già preso l'anima
e non ha intenzione di restituirtela.

Dormi.
Non dormi.
Ti svegli.
Non ti svegli.

Sempre.
Mai.





lunedì 14 gennaio 2013

Mater Dei: Il Posto delle Fragole

Questo è il simbolo della mia vita: una panchina vuota e un albero spoglio.

Non curanti dell'inerte ruolo di cui sono rivestiti, passano le loro giornate volgendo lo sguardo verso l'infinito, verso una ricerca che mai avrà fine, perché mai sazia di esperienze.
Qui, sommersi nel verde tramontare del sole, anelano l'infinito, pur consapevoli di non essere nati per raggiungerlo. Consapevoli che non gli è neppure concesso di tentare il minimo movimento.
E restano, dunque, immobili e resistono ad ogni intemperia che la natura gli muova contro, in attesa che qualcuno si sieda e colga l'attimo o che magari doni dell'acqua per dare nuova linfa alle foglie stremate.
In attesa che qualcuno, dopo tante attese, entri in totale empatia con ciò che è per loro il senso dell'esistenza.
Restano qui immobili, per anni, per decenni, per secoli. Nell'estenuante attesa che arrivi la persona giusta a farlo.
Ed è una vita di attese interminabili e di picchi intensi molto brevi.

E quando, allora, il momento giunge trionfante, godono appieno di ogni piccolo attimo che lo rappresenta, così che ogni foglia riassapori la propria linfa a tal punto da perdersi inesorabilmente in essa; così che ogni seduta rappresenti un attimo d'indescrivibile intensità e che renda il senso eterno ed immutabile delle cose, a tal punto da perder il minimo senno con la realtà che li circonda.

E' questo il magico potere di un luogo che ha più la parvenza di un entità viva. Di un entità vera.
E' un luogo che parla, accoglie e ascolta.
E' un luogo che sa Amare.

E' il luogo che racchiude in sé la madre universale, l'amore vero e puro, privo d'ogni male, privo d'ogni forma d'egoismo o amor proprio.
E' l'amore che giunge all'abbandono e al sacrificio estremo per l'altro.
L'amore reale in ogni forma di esistenza, che sa amare la decadenza, la sconfitta e la meschinità altrui.
Riconosce la depravazione, la vigliaccheria e l'umiliazione e che fa di queste una motivazione per esserci e continuare ad amare l'altro.

E la panchina e l'albero lo sanno.
Hanno inteso tutto ciò. Conoscono il gran tesoro.
Hanno provato la Sacra Medicina che nella roccia si nasconde.
E di questa con gelosia e cupidigia nascondono il segreto.

Io mi sento eletto a goder di questo luogo e di poterne fare largo uso con grande voluttà.
Ho carpito l'essenza regale che qui vi aleggia ben mascherata.
E di questa non ho più potuto fare a meno.

La mia vita è dunque in questo simbolo.
Il suo manifestarsi rende un Senso alla mia esistenza.
E di questo allora ho deciso di nutrirmi e di alimentare le mie risorse.
Questo simbolo è spesso lontano e lo ricerco nel mio viaggio di conoscenza nell'estendersi dell'universo.
Ma soltanto qui lo trovo e lo sento palpitare con forza tra le mie costole.

E allora mi siedo un attimo, mi lascio mordere dalle formiche e contemplo l'ingiallire dell'autunno che strappa ai rami l'ultima speranza. Poiché è la stessa speranza che scorre in me in quell'istante.




martedì 8 gennaio 2013

Come tutte le stelle cadenti...

Ci sono stelle del mattino che passata la loro ora spengono la loro brillantezza.
Scompaiono alla vista e si celano dietro l'invisibile.
Quando accade, lasciano la loro scia ancora accesa e tutto il calore da esse emanato continua a propagarsi nell'aria.
E' un calore che dapprima irradia, subito dopo riscalda e, quando l'ora è giunta, brucia, come le fiamme dell'inferno.

Diversa da tutte le altre, la stella del mattino invia i propri raggi per illuminare la notte.
Illumina la notte buia e cupa dell'animo dell'uomo. Dona ad essa la giovinezza, la luce ed il risveglio interiore.
Ma come ogni stella, anche la stella del mattino, ad un certo punto fa il suo corso, lascia spazio all'oscurità e al tempo in cui tutte le cose si catapultano e crollano giù.

Crollano le certezze, crollano i muri e senti le ossa che si frantumano.
Senti che tutto il lavoro fatto sui campi dai contadini va perso, perchè il sole non brilla più e non irradia le loro terre.
Il mondo si cela di un'oscurità, che lascia spazio solo a vecchi dogmi.
E di quei dogmi fai morale e vana speranza.

Quando si spegne la stella del mattino, tutte le verità per cui hai lottato si offuscano ed inceneriscono senza tregua.
Alcune scompaiono all'istante, come un teatrino che rimane solo, triste e vuoto dopo ogni spettacolo.
Altre proseguono nel tempo e dissacrano via via tutte le esperienze che con tanta fatica ci si è portati dietro.
Ed è la cenere che tieni in mano che più di tutte le altre cose, ti rinfaccia quel beffardo destino che insegue la tua vita e che, ogni qualvolta ti accendi come portatore di luce, ti ricorda di come in realtà tutte le cose siano più effimere di quanto sembrino.

Ci sono stelle de mattino che fanno il loro corso. E come tutte le stelle cadenti annunciano il momento in cui bisogna andare a dormire. Niente desideri.


"To love is to lose and to lose is to Die"

martedì 1 gennaio 2013

Lapis Philosophorum - L'Elisir di Lunga Vita

Sogna. Sogna davvero tanto.
E poi immagina.
Ma nelle tue immagini davvero credici.
Seguile. Guarda dove ti portano.
Ma oltre che guardarle, sentile.
Sentile scorrere dentro..
Forti, intense, tanto intense da consumarti.
Come se sentissi della forte corrente scorrere in te.
Il cuore vive con la corrente.
Esso consuma la passione elettrica
che il ballar delle foglie al vento alimenta in noi.
L'ossigeno ascolta la sua fame
inondando di sangue le sue stanze
come fosse un fiume in piena in quegli istanti.
E sono gli istanti che irradiano e riempiono l'anima tua,
che la fanno sentire così chiara ed estesa al povero corpo,
da costringerlo a farla uscire
e lasciar che essa si congiunga con tutto ciò che lo circonda.
E' questo ciò che tu cerchi.
E' questo ciò per cui ogni giorno spendi le tue giornate.
La speranza che una passione forte e pregnante per le cose ti travolga senza scampo.
E' il sogno che da il senso a ciò che viviamo.
Ed è da questo che tutti i giorni ci proteggiamo.
Perciò sogna. Muoviti, prova e vivi ciò che senti senza timore o riserva alcuna.
E' questa la Rossa Tintura che da ardore ai nostri sensi.