martedì 24 gennaio 2012

Delirio Mistico

La verità. Nient'altro che la verità.
Non oso chieder di più dalla vita.

Il problema è che a volte la verità è.. più verità.
Il problema è che a volte la verità è falsa, irreale.
Il problema è che a volte la verità cambia, come diceva Nietzsche.
Il problema è anche che a volte la verità si fissa. La verità si fissa e si impone e genera, prima o poi, disastri.
E allora cos'è la verità?
E' chiaramente una domanda che porta ad una grossa complessità di argomentazioni.
Tutt'al più al massimo la risposta classica è che ognuno ha la sua verità, o che questa è relativa.
Ma relativa a cosa?
Qualcuno direbbe ad ognuno di noi, qualcuno direbbe ai fatti, qualcuno direbbe addirittura al volere di Dio.
Bisognerebbe in effetti dare una definizione più precisa ad un termine che, forse, di definito non ha proprio nulla.
Ma andando per ordine..
Ognuno, dentro di se, possiede la propria verità, è vero. Ognuno, dentro di se, possiede una propria verità, è anche vero.
Ma è anche vero che questa vera verità anche per ognuno di noi è relativa. E' relativa al tempo. E' relativa allo spazio. E' relativa all'esperienza in una sola parola.
Probabilmente per ognuno di noi esistono più verità ogni volta, in ogni gesto, in ogni cosa che facciamo o viviamo.
Esistono più verità e sono tutte verissime, non ne esiste una meno veritiera dell'altra.
Il problema si pone allora nel fatto che ogni volta, in ogni gesto, in ogni cosa fatta, bisogna scegliere.
Bisogna scegliere qual è che vogliamo sia la nostra verità, in quel determinato attimo.
Talvolta questa scelta ci porta all'illusoria conclusione di aver trovato la verità "giusta", quella perfetta, immutabile.
Talvolta oppure la nostra scelta si tramuta in una verità falsa, che smaschera immediatamente i nostri giochi e ci riporta al punto precedente, ci fa regredire ad uno stato di incertezza.
In ogni caso, qualsiasi verità scegliamo, tra tutto il ventaglio di verità che abbiamo a disposizione, è in fin dei conti sempre quella esatta. Esatta, quantomeno, relativamente al nostro modo di essere in quel momento.
E' evidente sin da subito del resto, siamo noi a scegliere.. nessun altro al posto nostro, di conseguenza ciò che scegliamo, qualunque cosa sia, per noi, in quel momento, è "vero". E tale sarà finché la vita, le esperienze, i nostri istinti, le nostre maturazioni, ci porteranno a trovare una nuova verità. Cioè appena un attimo dopo, tecnicamente...
E così sia fino alla fine dei tempi, ogni giorno.

E allora cos'è questa famosa verità?
In fin dei conti tutto questo trambusto non ci rende ancora le idee tanto chiare.
Questa verità è assoluta o relativa quantomeno?
Io penso che l'unica verità che ci è concesso vivere durante i nostri giorni di vita sia data sia da una scelta assoluta che da una relativa, inevitabilmente.
Come detto sopra, avremo sempre tante verità da scegliere. Queste rappresentano la scelta assoluta. Sono tutte vere, hanno tutte lo stesso valore, potenziale, la stessa validità. Sono assolute appunto. L'una vale l'altra, non vi è disparità. Ognuna di queste ha la sua buona, giusta, concreta, valida, validissima opinione d'essere vera.
Eppure di queste scelte, come detto, ne prendiamo solo una. Quindi tutto il gioco si rifà ad una scelta relativa posta da noi, dall'insieme delle nostre sensazioni, miscelato a quello degli stimoli esterni.
E allora in fondo la riflessione più ovvia porta alla concezione che in fondo siano entrambe a stabilire il "vero".
Come a dire, l'importante è essere il più consapevoli delle scelte possibili da fare... per poi sceglierne una sola, quella "giusta". Quella giusta per noi ovviamente. Per quello che siamo in quel momento appunto.

Quindi in fondo lo stesso concetto si può spostare all'esterno e ad una porzione di individui maggiori di uno.
Anche qui esistono scelte e verità eterne o assolute. Come detto sopra, ognuno le chiama in modi diversi, ma del resto anche qui queste si pongono semplicemente come un tappeto di scelte differenti, generate da differenti origini, culture, educazioni, esperienze e così via. Tutte queste scelte, persino quella del volere divino delle cose, hanno il loro senso, la loro logica, la loro totale validità.
Ma allo stesso tempo ognuna di queste scelte comporta il conseguirne di un unica effettiva. Talvolta quest'unica è un mix di queste, ma è sempre una.. non riesce e non riuscirà mai ad inglobarle tutte, proprio perchè spesso l'una esclude l'altra.
E allora questa verità diventa un concetto molto complesso.
Un concetto molto lontano da ciò che la società occidentale concepisce come verità.
Un concetto dualistico, di duplice natura appunto, di due nature apparentemente contrapposte, ma in fin dei conti complementari, dinamiche, fuse in un'unica verità, per l'appunto.
Spesso questa concezione viene però difficile da mantenere durante la vita.
Premesso anche che spesso venga già difficile da apprendere e concepire come concetto, capita anche che quando si presentano certe esperienze durante la vita, talora viverle secondo questa duale concezione di verità, per chi è fuori allenamento, diviene più un desiderio utopico che altro. Anzi spesso e volentieri questo concetto scompare del tutto, viene buttato nel dimenticatoio, ci si lascia prendere dai sensi, dai propri principi, ci si inorgoglisce e si basano tante scelte sulle buone, care, sicure, eterne e immutabili stampelle che l'educazione (familiare, religiosa, societaria) ci pone. Tutto bene e nulla da obiettare se non fosse che queste stampelle spesso prevedono un approccio monodirezionale, che tende inevitabilmente a sfociare in quella verità fissata, superiore e immutabile che, come detto sopra, si impone inesorabilmente sulle altre.. riferendomi con questo termine sia alle altr-ui opinioni, sia alle altre nostre possibili (e magari anche più plausibili) scelte.
Talvolta la verità diventa fissazione, diventa un'ossessione, uno scudo crociato da esibire e portare in guerra.
Una guerra che, come tutte, porta solo decine di migliaia di morti. Sono delle morti di idee, di concetti, di libertà individuali o collettive. Sono comunque delle morti.
Ma in fondo anche in questo c'è del bene.
Qualsiasi dottrina (cioè insegnamento) che si rispetti è pronto a testimoniare l'importanza dell'atto della morte, cioè del cambiamento, durante la vita di tutti giorni e in ognuno di noi.
Da ogni morte c'è (quasi) sempre una rinascita. E di conseguenza una nuova consapevolezza.
E allora forse ogni tanto costruire dei totem a cui appellarci e appoggiarci, dei totem veri, forti e portanti, è in fondo necessario. E' necessario per distruggerli e convincerci che forse non erano così forti come pensavamo.
A volte questi totem prendono però possesso di noi, un possesso che può divenire anche totale per alcune fasi della nostra vita. Ci fa perdere in questa continua lotta e la nostra totalità psichica viene completamente dominata da un proposito che si trasforma in una condanna, ossessione ed una croce da portare talvolta tutta la vita.

In ogni caso ogni uomo non può fare altro che continuare la ricerca. In fondo è tutto questo che siamo noi.
Entità in continua ricerca. Una continua ricerca di un qualcosa che nessuno di noi in fondo sa cos è.
Qualcuno lo chiama Dio, qualcuno soddisfazione, qualcuno ideale, qualcuno verità appunto.
Ed è importante, ma anche fondamentale, che ognuno di noi possa esprimersi in questa ricerca in qualsiasi modo possibile, per giungere poi alla più probabile e incomprensibile conclusione che tutto quello che conta non sia il risultato vano delle nostre lotte, ma il godersi la ricerca in se.





sabato 21 gennaio 2012

Morfina

E' strano come ogni essere umano reagisca sempre nella stessa identica maniera quando un qualcosa che procura in lui un forte benessere e una completa sensazione di appagamento, gli viene privato, tolto o semplicemente cessa di esistere.
Ogni drogato che si rispetti lo sa, quando gli eliminano la dose di eroina/morfina/qualsiasialtradrogachegeneridipendenza (e il discorso potrebbe allargarsi anche alle semplici canne.. con le dovute proporzioni, purchè generino in lui quel benessere sopracitato), tutte le sensazioni da lui provate, così come l'intera percezione del mondo che lo circonda, non fanno altro che virare verso un'unica direzione e nella gran parte dei casi con un'incredibile insistenza e priorità.
E' come se quella fonte di benessere divenisse l'unico scopo supremo e centralizzato della sua vita. Non c'è altro, non esistono variazioni, non esistono alternative, non esiste alcuna possibilità di vita "senza di Lei".
Trovo perfetto anche l'utilizzo di questo termine, Lei. Proprio perché questa sensazione di rinuncia inaccettabile, di vivere una vita impossibile e totalmente vuota senza quella sostanza o senza quella cosa, è la stessa che provano gli innamorati nelle loro fasi più acute.
Quante volte ci si è trovati in situazioni in cui persone recitavano queste stesse parole di impossibilità di vita, di non avere alcuna possibilità per il futuro e non voler più continuare a vivere, proprio dopo aver perso la persona amata? Quante altre volte ci si è ritrovati noi stessi in quelle situazioni, senza via d'uscita, senza alternative, come se da quel giorno in poi la nostra vita non avesse più valore e non valesse più la pena fare nulla... per poi riscoprirci un giorno, un mese, sei mesi dopo (nei casi più gravi anche un paio d'annetti) pronti a rinnegare tutto, a darci degli idioti, degli imbecilli con tutta una serie di ragionamenti brillanti e consapevoli, su come in quel periodo si fosse stupidamente presi da una cosa sola e come non si riuscisse a trovarne soluzione?
E' vero, in questi casi il tempo aiuta molto; nei casi di dipendenza da droghe anche, ma talvolta non basta solo quello.
Eppure esistono casi in cui la similitudine tra i due contesti è praticamente coincidente. Esistono casi in cui questa dipendenza non riesce proprio ad affievolirsi, o a cessare del tutto magari. Esistono casi in cui il tempo amalgama bene le sensazioni e le pulsioni attrattive, ma che magari alla lunga portano l'individuo a cascare nuovamente negli stessi processi. Esistono casi in cui ci sembra di essere guariti del tutto, sia per il tempo trascorso, sia per la nuova grande consapevolezza emersa dalle esperienze, ci si sente forgiati e forti di ciò che si è vissuto e compreso e pronti ad affrontare una nuova avventura.. e puntualmente si ricade al punto precedente.
In tutti questi casi, e in tutti gli altri immaginabili, le due situazioni contestuali continuano a coesistere tranquillamente con le stesse dinamiche.
Sono sempre gli stessi identici comportamenti a guidarci. Le stesse funzioni psichiche:
manca qualcosa di fondamentale? ---> io non posso vivere; non riesco a vivere senza quel qualcosa? ---> devo provare a riottenerlo; capisco che riottenerlo è dannoso per me? o magari impossibile? --->
comincio a perdere il controllo e fare gesti avventati magari; riprendo possesso di me stesso anche se in maniera parziale? ---> cerco di convincermi che quel qualcosa non sia per me più necessario.
E dopo? Dopo avviene che o si ricasca sul fatto, o si scarica quella quantità di libido in continua ricerca di un qualcosa, su una nuova dipendenza.
E' proprio così. O si cambia droga, o si ripesca la stessa identica con gesti, modi e vie non sempre molto chiare, pulite o legali.
E' come se comunque questo gesto di dipendenza riesca lo stesso ad averla vinta. Come se fosse inarrestabile. Come se fosse una parte necessaria e inscindibile di noi stessi.
E se davvero così fosse?
Pensandoci ogni esperienza della vita, per essere tale ed attrarre di conseguenza il nostro interesse, o quantomeno la nostra attenzione, deve in un qualche modo per forza di cose creare dipendenza, almeno per un determinato (variabile) periodo.
Se ciò non avviene, vuol dire che quell'esperienza non è soddisfacente, non ci ritorna un qualcosa di utile, non ci interessa.
E' come se fosse una specie di mercato, come un po le azioni in borsa.
Si decide di investire su una determinata azione (esperienza) un tot denaro (energia), partendo dal fatto che ci si senta fiduciosi nei suoi riguardi e che questa generi in noi quella quantità sufficiente d'interesse tale a farci ben sperare in futuro di conseguenza (una persona con determinati interessi comuni, o che ci ha colpiti o nel caso parallelo una droga che provochi delle forti e piacevoli sensazioni appaganti); e proprio come in borsa a seconda dei movimenti del mercato e magari anche di come tu gestisci il tuo portafoglio (il modo in cui tu ti relazioni a questa persona/esperienza), ecco che si ottiene una vincita o una perdita.
Ecco che comunque (cosa più importante) si cerca di ottenere un qualcosa. Un qualcosa da cui temporaneamente dipendiamo per giunta!
Si cerca sempre di ottenere un qualcosa da chiunque. Persone, amici, nemici, amori... e così via.
Quando ciò non avviene, come detto, significa che queste non fanno parte del nostro universo in quel determinato istante/periodo di tempo.
Esistono dunque persone/droghe/sostanze/esperienze che riescono a centralizzare (dal nostro punto di vista, certamente... ma anche tramite il loro semplice essere) una forte quantità di interesse (o libido volendo) da parte della nostra persona, rispetto ad altre. Esistono persone la cui attrazione nei nostri confronti diventa talvolta eccessiva e incontrollabile. Esistono persone che riescono a coinvolgere la nostra sfera emotiva/sensoriale/percettiva/intellettiva (talvolta più una che l'altra.. talvolta la totalità del nostro sé) indubbiamente più di altre. Ed ecco che di conseguenza queste generano quella famosa dipendenza.. sia che le otteniamo, sia che le perdiamo, sia che stiamo in ansia per ottenerle, e così via.
E' come se queste persone avessero un carico d'interesse tale che tutte le altre (e come detto, talvolta tutto il resto) venissero offuscate. Come se in quel mercato borsistico si investisse in una singola azione tutto il nostro capitale, forti di tanta fiducia e attrazione da diventare ciechi e irresponsabili sul nostro operato, ma confortati dalla visione rosea e gratificante che tanta fiducia e attrazione portano illusoriamente a generarci.
Ed è proprio questa finta (ma tanto reale) visione rosea che, quando il mercato crolla, la nostra azione perde, e la nostra sostanza scompare, di conseguenza ci frusta senza pietà, trasformandosi in una visione totalmente buia e nera, forte adesso di tanti rimpianti e scialbi tentativi di giustificazione quali "ma io ci credevo molto", "io mi fidavo", "avevo investito bene la mia fiducia ("i miei soldi")", che ovviamente non portano ad alcuna soluzione lucida e realmente appagante.
Col tempo sembra che questa visione si ricolori un po di più, che ritornino alcune scale di grigi e successivamente bianchi e magari qualche colore in più al lungo andare.
Ma talvolta esistono macchie nere che risultano molto incisive e ancora per lungo tempo.
Quando poi si riesce miracolosamente a scrostarle dalla propria psiche, e si cerca di ritornare a ricostruire quel mondo colorato e con quel giusto di roseo che serve per portare avanti la baracca, ecco che, come detto sopra, ci si ricasca di nuovo. Stavolta l'azione ha un nome diverso, ma svolge in noi la stessa identica funzione in fin dei conti, riattivando lo stesso meccanismo precedente.
Osservando alla lunga questa dinamica, mi sono reso conto che forse tutto ciò è normale e fa parte semplicemente dell'umana psiche, che magari è un po più accentuato per i casi la cui genetica predispone un atteggiamento più marcato per la dipendenza, per il non "saper restare da soli", per l'aver continuamente bisogno di qualcuno (o in sostituzione qualcosa) a cui dedicare l'esistenza.
Tramite vani lunghi personali tentativi di distruzione di questa orrifica dinamica poi, sono giunto ancor più alla conclusione che il postulato sopracitato sia sempre più probabile.
E' come se, eliminando la necessità di qualcosa o qualcuno a cui appartenere e per cui compiere (anche soltanto idealmente) ogni singola azione, di riflesso l'io e tutte le esperienze a lui legate e conseguenti sparissero, perdessero totalmente di valore e dunque nulla avesse più senso, se non rimuginare sulla non esistenza delle cose (appunto).
Come se l'io da solo non bastasse per autoappagarsi. Come se per trovare un giusto appagamento dalla più piccola delle proprie azioni, l'io avesse sempre bisogno di qualcosa o qualcuno a dover poi confermare il lavoro svolto per ogni esperienza e di conseguenza approvarlo. Come a dover dimostrare ogni volta a qualcuno qualcosa per poter ottenere appagamento e soddisfazione.
Il solo dimostrare a se stessi non sarebbe più sufficiente.

Penso però che in questo contesto il problema si ponga più per una questione di "intensità" che altro.
Intensità, probabilmente un po genetica, un po culturale ed educativa, intesa come la quantità di energie spese a servizio di una singola cosa, che, essendo eccessiva, prescinde poi tutte le altre.
Ritengo che ogni essere umano abbia l'innata necessità, come condizione esistenziale della propria psiche, di essere riconosciuto dal contesto che lo circonda; sia questo costituito da persone, da una comunità sociale, sia un ambiente naturale, un animale e così via. L'importante è che qualsiasi cosa lo circondi, gli dia un ruolo all'interno del contesto che lo circonda.
Eliminato questo ruolo, si elimina anche l'essere umano o quantomeno la sua psiche. Come se questa smettesse all'improvviso di funzionare, come se perdesse totalmente di valore.
E' come se la psiche stessa, secondo il ragionamento di cui sopra, si nutrisse di questo contesto esterno per vivere.
La creazione di Dio da parte dell'uomo, e di termini come Amore, Odio, Nulla, Caos e tutte quelle altre terminologie che determinano assolutezza, immortalità ed una definizione "certa" e "statica" di un qualsiasi concetto o evento della vita, ne sono la più lampante testimonianza. La creazione del linguaggio stesso lo è.
Dio, Amore, Caos, Nulla, sono tutti termini utilizzati dall'uomo per spiegare l'inspiegabile.
Il linguaggio, tutte le parole e i gesti che compongono un linguaggio sono, sotto un'attenta analisi, allo stesso modo gesti e parole utilizzati per spiegare un qualcosa che l'uomo non può spiegarsi.
E a che pro essi vengono creati ed utilizzati se comunque non servono a spiegare nulla?
Semplice, per comunicare. Per un qualsiasi tipo di comunicazione, "spiegare" è necessario. Così come è necessario dare una definizione alle cose.
Senza spiegazione, senza definizione, senza "fermare" un pezzo di realtà, non è possibile comunicare nulla.
Di conseguenza allora ci si dovrebbe interrogare su quale funzione ricopra per la psiche l'atto di comunicare.
La risposta più semplice suggerirebbe l'idea di un atto nato per mettere in correlazione due entità tra loro. Per farle sentire in comunicazione appunto, in empatia, in contatto. Di conseguenza questo contatto dovrà apportare un qualcosa ad ognuna delle due entità separate. Se così non fosse, non avverrebbe alcun contatto come detto sopra. Se non ci fosse interesse e di conseguenza uno scambio, non si avrebbe alcun contatto ne alcun guadagno.
Quindi ogni relazione può essere intuita come un continuo scambio di interessi. Un mercato.
Un mercato dove ognuno guadagna un qualcosa. C'è chi guadagna titoli-fiducia e stima, imposti sull'altro; c'è chi guadagna titoli-consigli e guida, sottomettendosi all'altro. Talvolta lo scambio avviene tramite un alternarsi di questi due ruoli. L'importante è che questo scambio generi un certo tipo di appagamento comunque.
Ciò riporta la mia riflessione al punto:
ogni essere umano ha bisogno di uno scambio. Ha bisogno di creare un Dio a cui dare qualcosa e da cui ricevere qualcosa. Ha bisogno di creare un entità da cui dipendere e a cui poter talvolta creare dipendenza.
Ci sono poi esseri umani più predisposti (come detto da geni e cultura) per creare dipendenza ed altri per subire dipendenza.
Se si elimina quest'entità alla radice, se si priva di valore questa entità, concentrandosi magari per conseguenza su una forte centralizzazione e chiusura verso il proprio ego, si giunge al triste risultato che il proprio ego non possa vivere, come un cuore in cui non scorra più alcuna goccia di sangue da poter rimettere in circolo.
Nei casi esaminati all'inizio di questo documento, è facile riscontrare adesso i meccanismi che portano a quelle "strane" reazioni, che poi strane non sono a quanto pare, di non-vita e forte dipendenza sopraelencate.
C'è da sottolineare però molto attentamente che comunque anche la predisposizione genetico/culturale che porta gli individui a cadere in una dipendenza è sempre una questione meccanica e non caratteristica.
Ciò si presenta come una differenza fondamentale dal momento in cui anche una persona predisposta per la creazione di dipendenza, a livello genetico/culturale, subisce certamente durante la propria vita una dipendenza da qualcosa. E' come se in fondo fossimo tutti dei nodi interdipendenti in questo mondo e che ci differenziassimo l'un l'altro solo per l'accentuazione di talune caratteristiche rispetto ad altre, ed operassimo in continuazione in quegli interscambi già descritti per mandare avanti la macchina individuale e di conseguenza globale che costituisce la nostra vita.
Diviene allora facile concepire come di conseguenza ogni nodo può dipendere e creare dipendenza ad un altro allo stesso tempo. Per la gran parte dei casi si tratterà però di nodi differenti, ma in alcune tipologie si potrà riscontrare questo duplice effetto anche su uno stesso nodo di questa fantomatica rete.

Se questo tipo di dipendenza è allora così necessaria, bisognerebbe soltanto imparare talvolta a gestirla. A gestire quell'intensità che non ci permette di equilibrarci negli atti, nei gesti e nel sentirci attaccati a quella determinata cosa.
Siamo un continuo sballottolare di sensazioni, istinti e pulsioni e talvolta mantenere il controllo, quando vengono generati certi meccanismi e attivate certe pulsioni, è la cosa più difficile da fare.
In questi contesti tutto il lavoro sta nel trovare un po d'amore per noi stessi, inteso come un forte sentimento d'accettazione per quello che siamo, facciamo e viviamo e riuscire da questo a ripartire per puntare nuovi obiettivi da agganciare come bersagli da cui diverremo temporaneamente e giustamente dipendenti.. il tempo di averli raggiunti e aver provato appagamento dal conseguimento di tali scopi però.
Terminato questo tempo, bisogna esser bravi a tornare un attimo su noi stessi e riuscire allo stesso modo in cui abbiamo creato la dipendenza da quell'obiettivo, a tesserne una anche riguardo noi e la nostra totalità psichica, in modo da controbilanciare la forte spinta attrattiva che ci rende schiavi di quell'oggetto insostituibile.
Talvolta ci vuole una forte contro-spinta, talvolta la cosa diventa molto più facile.
In ogni caso tutto sta a noi e a ciò che vogliamo ottenere in quel momento dalla nostra vita.


«Secondo l'ambiente e le condizioni della nostra vita, un istinto emerge come il più stimato e dominante; in particolare, pensiero, volontà e sentimento si trasformano in suoi strumenti»
Friedrich Wilhelm Nietzsche 

venerdì 20 gennaio 2012

In principio era il Verbo

Lubbert Das è una figura comica assai particolare della letteratura medievale olandese.
In tal contesto egli impersona il "folle" o colui che genera risa e situazioni imbarazzanti a causa della sua totale incapacità di intendere e di volere.
Lubbert Das è anche tradotto come "sempliciotto", stupido, credulone.
Lubbert Das è anche un riferimento molto importante ad un'opera capolavoro come "L'estrazione della pietra della follia" di Jeroen Anthoniszoon Van Aken, in arte Hieronymus Bosch.
Bosch è stato da sempre per me modello di vita e ispirazione.
Posai l'occhio sui suoi dipinti per la prima volta alla tenera età di 14 anni. Fu, a partire da quel momento, amore a prima vista.
Ciò che colpì le mie allora acerbe capacità di giudizio fu sicuramente la sua sublime visione critica, pungente e al tempo stesso onirica e depravante, di un universo infernale e paradisiaco atto a descrivere il mondo reale che egli sperimentava in quel tempo. Riuscivo a trovare incredibili similitudini tra le sue mostruose e surreali creature e ciò che allora mi provocava un gran disgusto e terrore come la realtà che ero costretto a vivere ogni giorno.
Nulla di così mostruoso in fin dei conti, soltanto la nuda e cruda realtà di situazioni spiacevoli e talvolta frustranti che siamo un po tutti costretti a vivere durante i nostri giorni.
Il punto è che ero giovane e molto inesperto, inasprito da una critica pungente e talvolta fuorviante, forgiata da un grande senso dell'onore (nel qual caso si possa definire tale) e del Sacro che in fin dei conti hanno sempre accompagnato la mia vita fino ai giorni attuali.
Bosch fu insomma una specie di luce in tanta oscurità, come un faro possa guidare una nave fino a riva in una zona di buio totale.
Lubbert Das è per me quindi un caro omaggio a colui che considero sostanzialmente uno dei pochi Padri che mi hanno sorretto durante l'adolescenza e la mia vita attuale. Il senso di Sacralità nei suoi confronti non si è spento fino ad oggi. Considero lui e la sua opera come un qualcosa di eccelso e immutabile, per l'ispirazione e l'illuminazione concessami durante tutti questi anni.
Lubbert Das rappresenta inoltre la figura del folle come già detto, e chi meglio può simboleggiare ciò che voglio improntare su questo blog, se non la figura di un pazzo buffone la cui unica peculiarità sia quella di saper ben naufragare tra le lande del proprio -disconnesso- pensiero??
..e crearne un mondo proprio perfettamente funzionante aggiungerei!

La finalità di questo blog, sempre se di finalità si può parlare, è proprio questa: flussi di coscienza; flussi sensati per mondi inconsistenti o totalmente fuorvianti, dettati da leggi proprie e ferree, talvolta in contrasto, talvolta in forte ricerca di correlazione con ciò che li circonda.
Trascriverò letture di psicologia, riflessioni spontanee, postulati filosofici, stronzate del momento, scritture apocrife o per riassumerla in una doppietta di termini esplicativi: "Seghe mentali".
Astenersi perditempo. Ma per la sola e comprensibile motivazione che si annoierebbero loro per primi nel perdersi tra i lunghi fiumi e sentieri di una mente in continua fermentazione, essendo lor signori privi di una ricerca ben mirata e gnoseologica riguardo i concetti sopracitati.
Per il resto, giusto per cominciare con ispirazione, "comu veni si cunta".