mercoledì 28 marzo 2012

Cardiocoma - Il Canto della Terra Rossa

Quasi come al circo recito l'atto che mi porterà alla croce.
Croce dalla quale riuscirò ineluttabilmente ad evadere per scagliarmi e perdermi in un mare di lacrime solforate al miele.
La mia croce sarà la mia fortuna. Sarà ciò che mi donerà la vista, sarà ciò che mi donerà la pace.
Il circo danza intorno a me, ed io quale miglior ballerino eseguo la mia piroetta lercia di quel tanfo di etanolo, il cui odore non è reale all'olfatto poco accorto.
L'odore c'è e si sente e puzza terribilmente, puzza di morte.
La morte si stringe a cerchio e riempie il vaso che innaffia il mio corpo, con la sua linfa dorata.
La sua linfa è secca oramai.
Il colore ha perso ogni forma.
Ciò che forma rimpiange la pace.

Ma la pace è perdizione. Perdita dei sensi. Perdita di ogni senso. Meta per ogni senso comune. Centro di ogni senso vitale.

E questa guerra va vissuta.
Ma come ogni guerra porta con se la falce, e raschia via ogni fil superfluo.
Guerra e pace sono oramai sorelle. Dal legame e il corpo inossidabile.

E il mio atto il ciel confonde e tra le nuvole riesco a danzar.
La mia luce in alto si spegne.
Lascia il posto al buio ballar.
E danziamo danziamo tra le stelle.. affinché la buia luce ci lascia far.
E una danza infinita sarà, in questo cieco mio perir.

Soltanto un gesto riesce a farmi vero. Ma di una verità che subito presto m'offende.
Una verità dimenticata e dai miei occhi offuscata.
Però quel gesto è veritiero, per quanto lo nego e per quanto lo affogo.
Ne Dioniso può conferir parola.
Ne il tempo riesce a scalfire la pietra lanciata.
Solo il sangue concede l'ebbrezza.
L'ebbrezza più pura d'ogni parola.
E non c'è vino che mi tenta e non c'è recita che mi consola.
O regga il confronto a tale chimera.

La mia gola qui si espande, e prende ogni fiato con ardore.
Qui finisce ogni rito di sorta.
La mia resa è presto giunta.
Il mio occhio oscura il sole.
Il Divino chiede il tempio e via scorre sul mio dolore.
"La sanità mentale è piacevole e calma
ma non c'è grandiosità, né vera gioia..
né il dolore terribile che dilania il cuore"

giovedì 15 marzo 2012

Atala - Il canto della Devozione

Nascere per essere devoti.
Non poter esistere senza immolarsi.
Questo è il nostro destino.
Senza questo Sacrificio la vita perde di ogni senso.
Dobbiamo vivere per l'altro.
Il perfetto controllo dei nostri mezzi e della nostra dedizione ci permette di vivere pienamente la realizzazione per l'altro.

Da devoti esistiamo.
Senza devozione non ci è dato, non ci è concesso.
La devozione dona noi il nostro unico Scopo.
Uno Scopo che venga riconosciuto per la sua sacralità.

Se centralizzato, ci permetterà di essere riconosciuti a pieno.
Se decentralizzato, richiederà molto di più.

Ma l'obiettivo resta comunque lo stesso: esistere.
Dimostrare che esistiamo e che ci è dato un senso per esistere.
Dobbiamo compiere ad ogni costo questo assoluto.

Solo così verremo liberati dal peso della nostra esistenza.


giovedì 8 marzo 2012

Χίμαιρα - Il canto del Nichilismo

Io non credo di aver un senso.
Nessuno di noi ha senso.
Nulla ne ha.

E' la conclusione più probabile a cui arrivi quando giri in lungo e in largo l'universo per trovar almeno un qualcosa che riesca a permearti e riempirti in maniera utile, ferma, decisa, definita.
Qualcosa che ti faccia dire: "Beh, questo è così."

Niente.
C'è poco da fare.

E allora spaesato continui a cercare, cerchi una luce, un faro, una guida, un qualcosa che ti tenga appeso al mondo delle cose, al mondo della realtà, al mondo dell'esistente, a ciò che credi vero.
Un qualcosa che ti dia quella dannata certezza che le cose esistono, che ci sia almeno UNA cosa che esista.
Che di conseguenza grazie ad essa tu, in primis, possa essere certo di esistere.

Ma anche qui, ancora una volta.. giri a vuoto.

Penso che ogni individuo presente su questa terra, ogni santo giorno, non faccia altro che fare tutto ciò.
Penso che ognuno di noi, chi esplicitamente, chi implicitamente, non faccia altro che lottare contro una chimera irrealizzabile, che si presenta, ogni giorno, sotto tutte le possibili forme e diciture che lo scibile umano possa concepire. Magari si articola la cosa in maniera più complessa, magari si crede di realizzarla tramite più cose messe insieme o magari si trova la più bella, comoda e facile delle soluzioni nei dogmi... che di certezze, finte, ne danno anche fin troppe...
..sta di fatto che comunque sia quella certezza, vivida, assoluta, non arriva mai.
Penso che in fondo la vita di ogni essere vivente cosciente sia legata indissolubilmente a questa perfida catena ammaliante.
Penso che la scienza, l'arte, la religione, la mitologia, la politica, l'economia, l'intelligenza, il linguaggio, il definire, il capire, il controllare, lo scoprire, l'inventare, il sorridere, lo sperare, il costruire, il sognare, non ultimo l'amare!... non siano altro che diverse facce della stessa chimera che porta l'uomo ogni santo giorno a creare dio e a 'crearsi' Dio.
Penso che l'uomo riesca così tanto bene ad impersonarsi in questo ruolo, a definirlo, a dargli realtà concreta e sincera, da perdersi nel suo stesso inganno, da non rendersi conto che tutto ciò che definisce, parla, recita e venera, non è altro che merce di poco valore spacciata per il più prezioso dei metalli.
E penso che, ancor più tristemente, in fondo, all'uomo non resti altro che tutto questo, ogni santo giorno, per sentirsi vivo, per sentirsi esistere. Un ebbro e stupido perseverare nel mordersi la coda, nel girare intorno per ritornare sempre nella stessa posizione.
Penso che viviamo di illusioni, di cose da noi definite, da noi create e dalla nostra percezione poi idolatrate.

In fondo, si potrebbe dire, che c'è di male? Anche queste possiedono il loro valore.
Certo, lo stesso valore che un bambino possa dare ad un giocattolo che gli venga appena donato. Un valore immenso, incommensurabile. E' il più bel giocattolo e la più grande soddisfazione che egli possa richiedere dalla vita, da qualsiasi cosa.. questo è Dio, questo è amore, questa è pienezza, totalità, assolutezza!
Peccato che col lungo andare il bambino cresca e il giocattolo rimanga sempre invariato, ma non per lui, non per la sua percezione idolatrice.
Il bambino cresce, abbandona il giocattolo, lo conserva, lo priva successivamente di valore, lo impolvera, lo getta via, lo distrugge.
E questo meccanismo avviene successivamente per tutti i restanti anni di questa tenera ed ingenua vita, con tutti gli altri giocattoli che si ripresentano puntualmente ogni volta come i definitivi, come quelli che risolveranno una volta per tutte la nostra vita, le nostre paure, le nostre mancanze.
Risolvere la vita... ma cos'avrà mai questa vita da risolvere? Quali saranno questi possenti e tormentanti quesiti a cui bisogna necessariamente porre rimedio e dare risposta?
Penso che la risposta stia proprio nella domanda. L'uomo non riesce mai a concepire definitivamente nemmeno quali siano questi quesiti. Ed anche qui scatta sempre lo stesso meccanismo di sempre, fino allo sfinimento.
Trovi un quesito, lo risolvi, ti sembra che sia fatta e invece eccola li.. la piccola e subdola chimera pronta come sempre ad avvolgerci e far buon pasto delle nostre fievoli speranze.
Penso che alla fine si arrivi semplicemente a concepire che il problema stia proprio all'origine:
questa cazzo di vita non ha un bel niente da risolvere. Ne da porre quesiti, di conseguenza.

Ed è qui che l'uomo saggio capisce.
Ed è qui che l'uomo stolto continua la sua ricerca.
Ed è qui che non c'è stolto, non c'è saggio.