giovedì 24 dicembre 2015

Delirio #8 - Tetrattide

I.      Le cose non vanno fatte bene, vanno fatte.

II.     Poiché non vi è alcun senso nelle cose, allora le cose vanno fatte.

III.    Lungo ogni cosa fatta ogni senso è ritrovato.

IV.    Se le cose fatte hanno un bene, allora è bene che siano fatte bene.

V.     Se le cose fatte non hanno un bene, allora è bene che siano fatte non bene.

VI.    Lungo ogni cosa fatta si esprime un bene.

VII.   Lungo ogni cosa fatta si esprime un non bene.

VIII . Il fare esprime.

IX.    Il fare per esprimere, non esprime.

X.     Fare, dunque, per non esprimere.

                                                                                                   Medicina
                    APREARDETENEBRENEFONTERMNEFIAPERFEBE
                SANFERENOPARENE
                      RAREFEDEFASENOLEALSARAPRE
                                     

venerdì 11 settembre 2015

In Principio era l'Indeterminabile

Dio è dove non si può vedere.
È così soltanto che lo si può trovare.
Con ciò si determina la sua esistenza.
Con ciò si indetermina la sua esistenza.

Credere in Dio è un gioco.
È un gioco che non permette di non esser più bambini.
Chiedere cura, protezione, amore,
chiudersi in fasce, chiudere le fenditure ad un mondo così intenso.
Credere in Dio è un gioco.
Poiché l'unica cosa che dà senno a questo luogo
non è nient'altro che la morte.

Credere nella morte non è un gioco.
La morte allaga ogni cosa e comanda incertezza,
e poiché da essa non vi è clemenza.
credere in Dio è il modo.

Credere in Dio è il modo.
È il modo per alludere alla salvezza, per poter credere con fermezza.
Chiedere moto, scopo, posizione,
è il modo per perdersi in mete ed orizzonti tutt'altro che inscindibili.
Credere in Dio è il modo.
Poiché l'unica cosa che da senno a questo luogo
non è nient'altro che il senso.

Il senso è il moto. Il senso è la posizione.
Dio abbraccia ogni moto.
Dio abbraccia ogni posizione.
Abbraccia idoli che non siano noi stessi,
dona sfarzo alla pretesa di rimanere disconnessi.
Dio si nasconde, Dio si annoda
Dio si estende lungo lo scorrere invisibile che determina ogni immagine di sè.

Ringrazio Carlo, Federico e Guglielmo per avermi portato qui.

mercoledì 9 settembre 2015

Delirio #7 - Me

Essere per riconoscersi.
Fare per essere riconosciuti.
Se persino amare è per sé stessi,
diviene chiaro il principio regolatore d'ogni cosa: Io.  

                                                                                           Medicina
                                                                               TEMOTENSINTIPAZENDI
                                                                                  SERVAVERIESEFERE
                                                                  FILOSOPERALSIGNIPOTERCROSACQUA

venerdì 29 maggio 2015

Il Dono

Perdersi tra queste mura
che mi trascinano nel tempo.
Perdersi tra queste strade
che disperdono la mia unicità.
È un sogno,
è un sogno dal cuore vivo,
che pulsa nel corpo di una realtà fatta di parole.
È un sogno in cui scorrono proiezioni lampanti
dei racconti del tempo che fu,
di storie in cui vi sono luoghi da sempre narrati,
luoghi che per giorni furono immaginati,
luoghi in cui vi era da narrare poi
sempre di qualche cosa,
o di qualche perduto ricordo.
Qui dove l'angolo fa la corte alla chiesa,
qui dove si odono gli echi dei medici
che si presero cura del tempo ammaliato,
risali le scale
e guarda,
adesso puoi apprendere come le emozioni
scorrano via attraverso i tuoi occhi.
L'acqua scorre in giù, segna il tempo che passa,
sulle rive lascia il tempo che resta
per concedersi ancora una volta
qualche ripiego al passato.
Vai ad immergerti in un idillio
la cui debolezza
è simbolo e specchio della più indescrivibile delicatezza.
Non c'è spazio per la notte,
si può al massimo tendere ad allargare il buio finché si può,
fin tanto che non si riesca più a vedere,
o a vedersi
neppure impigliati in una realtà tangibile al tocco.
Questa è la poesia,
questo è il dono di cui ti parlo
ogni qualvolta ti penso intensamente.
È il dono del giglio,
è il dono del cipresso,
è il dono di tutti i fiori, le rose azzurre,
e dei più nobili misteri che si aggirano lungo i sentieri più intricati,
che vagano lì da soli a raccontarsi, magnificati,
tra le strade di questa città.
Qui dove fu l'isola dei morti,
è il luogo per le campane che suonano al giusto rintocco,
è il luogo in cui il glicine troppo in fretta si mostra sospeso in fiore,
è il luogo in cui sempre aperte sono le finestre
nell'attesa che tornino gli avventurieri dei racconti trapassati.
È il luogo in cui si conoscono i cinghiali,
e le fortune che incedono dai loro proventi,
è il luogo in cui ti vedi nel rincorrerti in uno stesso posto,
senza mai vederti, allo stesso modo, in un gioco predisposto.
È il luogo in cui mi fu permesso di aprire gli occhi
e guardare al di là delle cose,
di immergermi con tutto me stesso, una volta,
e di concedermi un bagno in queste acque consumate,
in cui in vite precedenti ho già imbastito legami così intensi
da non poterne mai dimenticare il sentore invisibile, seppur lontano dagli occhi.
Questo è il più grande dono che mi hai concesso Fiorente Viola,
è questo che ho colto, nelle mie notti, dal Santo al Pellegrino:
tu sei l'idea,
tu sei l'ideale, a cui appendo le mie malinconie,
il tuo dono è nello spirito,
in esso, la via che ci abbraccia in tutte le cose
e che mai ci disperde,
neppure quando ne vengono arginati i più arditi risvolti.
E quando il sogno svanisce,
ecco che l'occhio si apre su una dea senza coscienza,
ecco che il tempo si delinea quale sublime occasione
in cui concedersi non è che un'empia decisione;
qui dove il sogno s'infrange
il cuore si frantuma nel dirsi impotente.
Dal ponte si entra,
dal ponte, poi, si esce.
Seppur tutt'oggi te lo chiedessi,
è di un dono povero al tatto
quello di cui si parla,
ma è un dono così intenso e concreto nella realtà che ivi si narra,
che colui della quale vi s'intinge ciò nonostante
nella stessa porta il nome,
l'effige impalpabile di sognante.


Hic lapis exilis extat, pretio quoque vilis, spernitur a stultis, amatur plus ab edoctis.

giovedì 19 marzo 2015

Il Nodo Gordiano

Chi dunque ha compreso
il peso,
dal Golgota non s'è ripreso
l'appeso,
di tutto il tempo speso
preteso,
tra il nodo forte e teso
proteso,
al mondo tanto atteso
inteso,
di un gioco ormai sotteso
riacceso,
che al giogo fu sospeso
rappreso,
s'accorge d'esser leso
arreso,
d'uno scorgersi indifeso
sorpreso,
uno sciogliersi incompreso
disceso,
su un sentiero un po' scosceso
intrapreso,
porge il passo vilipeso
offeso,
verso un muoversi più acceso
inceso,
cui ogni gesto sovrainteso
asceso,
giunge senza malinteso
appreso,
scaglia dunque il braccio steso
esteso,
scioglie il groppo già iperteso
feso,
scisso in due dal Sé coeso
trasceso,
come un Dio s'è presto reso
creso.




sabato 17 gennaio 2015

Delirio #6 - Tragos

Così attratti dalla tragedia da esser disposti a ricamarsela.
Così invasi dalla tragedia da essere i soli a raccontarsela.
Da sempre affaccendati a legare situazioni al confine
pur di perdersi in un trancio di virtù azzerate,
di gemiti e di dolore.
Ombre celesti
su di un gelido racconto, che per poter vibrare almeno un po',
si concede il vezzo dell'onda.
Così esile, così impura,
impetuosa.
Così fragile, così insicura,
finalmente decadente.
Ecco che l'animo della tragedia qui mai si placa.
È il piacere della morte simulata.
È l'iniquo, solito, movimento,
verso un'ignota fine mai concessa,
verso l'unica grazia mai intercessa,
quella danza verso il sole
che di musica e parole è da sempre sottomessa.

Medicina
OPSALINEDIOCAEINOILO
  NISOBAIATENTISALGERLIDE
TELNMALUCEORDOAC