lunedì 26 maggio 2014

Delirio #4 - Spoglie

Tu non vedi,
tu dici di vedere.
Tu non guardi,
tu dici di guardare.
Tu non osservi,
tu dici di osservare.
Tu non scruti,
tu dici di scrutare.
Tu non percepisci,
tu dici di percepire.
Tu non leggi,
tu dici di leggere.
Tu non cogli,
tu dici di cogliere.
Tu non penetri,
tu dici di penetrare.
Tu non senti,
tu dici di sentire.
Tu non t'immergi,
tu dici d'immergerti.
Tu non ti perdi,
tu dici di perderti.
Tu non t'ubriachi,
tu dici di ubriacarti.
Tu non ti accendi,
tu dici di accenderti.
Tu non ti consumi,
tu dici di consumarti.
Tu non soffri,
tu dici di soffrire.
Tu non comprendi,
tu dici di comprendere.
Tu ti affacci con gli occhi
di chi non conosce lamento.
Eppure,
ti affoghi in uno strazio.
Tu non muori,
tu dici di morire.

Medicina
TEGALESCECTISILE
IMONOLCAOSNENIC
CITIOSMALES


martedì 20 maggio 2014

Delirio #3 - Cretino

E' che si diletta lui
di fagocitare le cose
e non farle.
Assumere la posizione
nel non fare ciò che si dovrebbe.
Si diletta lui,
si pervade
di tentazione, perversa,
nel suo incedere,
incessante,
sedere immobile
e guardare.
L'assenza
è così fondata
dal suo eroe,
nel peso di non essere
pur di essere a sé stante.
Fare dunque,
per riuscire a non fare
ciò che lui comprende;
è che lo sazia
discernere il suo essere
dal suo non esserci.
Soltanto ciò
è compimento dell'incompletezza,
sia essa tale da completare
l'incompleto
che giunge in lui
dall'irrequietezza esistenziale,
ciò che rivela tutto il suo vero io,
che pur d'essere davvero Io,
s'avvede, fa sì, di distogliere ogni certezza
sbiadita da disillusione che non gli appartenga,
seppure in essa si ravveda del luccichio,
pur falso in se stesso, poiché già consunto
da una più decantata stirpe.
Distoglie lui
lo sguardo decantato,
siede, sbirciando serrature
si osserva, e non si vede,
mai quanto vorrebbe,
accende il buio
e dunque allora non si comprende.
E di nuovo
comincia il gioco,
stanco e prevalso,
ma mai domo od esausto,
per sottendere il filo rosso
e poi discioglierlo a più non posso. 

Medicina
NOESCONIOSINNOCO
SODOMENNOPIRCECO
   POSSONOICOINCINO   

domenica 18 maggio 2014

La Ballata del Clown Triste

I respiri si rallentano
quando i trapezi sostengono il corpo.
Mi muovono al ritmo
della musica terrena, sempre pronta a scandire
ogni ingresso ed uscita
che si protraggono, alternandosi, in quest'universo,
fatto di piume e gravosi pensieri
sempre fatiscenti e in ogni forma maestosi,
cangianti ad ogni respiro
nel loro imprimersi di sangue o dei più limpidi desideri,
in una guerra dall'esito sempre più incerto,
ma dal proposito sempre più scoperto.
Conto i numeri nel cielo,
da qui la vista è migliore
per vedersi, per godersi,
ogni istante che striscia via
tra il rosso e il bianco,
nei colori
di questo cielo itinerante
ma pur sempre chiuso in se stesso.
Si distendono, contorsionisti, estensori,
spandendosi e ritraendosi,
scandendo le proprie membra
al ritmo, nelle curve di un angelo dorato.
L'angelo stanco
ricurva su se stesso speranze e giochi d'infanzia,
dove il capo, disfatto, grida più forte
di melodrammatiche contese, tra animali
feroci, inferociti tutt'ora
dalle pretese ardite e atroci che han dovuto subire
da peccaminosi padroni,
ladri, deprecati,
colpevoli del loro più sublime ingegno,
la libertà, la coerenza,
il furto di un intero senso per cui esistere.
La donna cannone
accende la miccia,
rivolge il fio su se stessa.
Lascia esplodere il colpo
per ciò che nel profondo cova premurosa, più in dentro,
tutto il dolore e il sopruso offerto
da un'esistenza basata sul lasciarsi esplodere ogni giorno,
lasciarsi sfinire ogni giorno,
lasciandosi consumare ogni giorno.
E poi si lanciano coltelli,
già visti, diretti lungo il petto, che dispone un abbraccio
per chi s'appresta a coglierne in pieno tutta l'essenza,
in un gesto che pur gradendo, dilania il cuore.
E le mani stese, mai giunte,
attente adesso a chi gioca coi fuochi,
chi si diletta nel bruciarsi l'animo,
pur di provarne emozione nel sentir qualcosa.
Tra un siparietto e l'altro,
ecco il mio turno.
Alzo gli occhi
e mi vedo prostrarmi ai giochi
del già commosso pubblico in sala,
ansioso adesso
di concedersi il meritato riso,
colui che finalmente, disperso nell'animo,
può conceder loro grazia
dagli strazi che il solo esistere
ha loro inferto a ogni colpo,
tra stanche vite, vuote,
avvolte in un corpo costretto a ripetersi,
gli stessi gesti d'ogni giorno.
Avvio le mie danze,
sono il capro espiatorio
per il piacere di chi si diletta d'un uomo
ridotto al baratro dal suo stesso respiro,
inchinato adesso,
per sbeffeggiarsi nell'altrui dimora,
davanti agli occhi di chi, innocente,
ride di gusto del buffo pastore,
incolpevole adesso
per la goffaggine ammessa in sala,
diretto verso tutti, per tutti coloro
che attenti
comprendono il viso scolorire del cero sopra il rosso naso portante.
Fine della giostra.
Il mio giro si è concesso anche oggi,
come ogni dì, d'emozionarmi,
di lasciarmi ogni volta
la gioia del poter farne carne tremula di me,
e di guardare del mondo
con occhi
dietro maschere dissimulate dalle più beffarde astuzie,
raggelanti, occludenti del resto
ogni respiro che dal più profondo dell'animo
possa chieder sorte.
Mi fermo adesso.
Trattengo tutti i fiumi dalla mia fonte.
Spengo il capo.
E' questo l'attimo
in cui do spazio alle mie giornate,
prendo il respiro,
catturo il tempo,
abbandonato qui,
disteso qui,
dove ogni spalto
si raggiunge dallo stesso posto.
Guardo il cielo
e mi accorgo che tu ci sei
e mi accompagni musica danzante
ad indicarmi la via lungo i giorni miei,
per lasciarmi laddove mi sento più d'ogni tempo vivo
e dove adesso
vorrei lasciarti tanto
il mio ultimo respiro.





giovedì 15 maggio 2014

Il Ballo del Dandy Mancato

Il mondo è sbagliato.
Tutto il creato è sbagliato.
E' psicotico. E' utopico. E' antitetico.
Come si può pretendere di giungere al miglioramento,
se proprio ciò che governa l'azione, il moto, la realizzazione,
non è altro che il peggioramento?
L'egoismo, l'appagamento, la prevaricazione, la supremazia, la selezione naturale.
Questo è il carburante che dà il moto allo svolgimento.
Si tratta di una legge incolore si è detto. Certamente.
Ma se solo si evitasse di gingillarsi di colori idilliaci e apollinei,
volti alla tintura di un universo iperuranico, allo Streben!
In cui tutto è assai più ipocrita ed effimero di ciò che si appare.
Allora sì! Che si compirebbe a buon rendere, ciò che si è detto.
Allora sì! Che il creato giungerebbe a condotta perfetta!
Ciò è solo noia per le mie orecchie.
E' strazio per la mia eterna passione di morte.
Non vi è intelligenza, per tal creatura che fa vezzo del definirsi tale!
L'onestà, l'integrità, la fierezza, l'emozione!
Il poter dire: "Io sono il Male! - Io provo bramosia eterna per tutto ciò che è Male!!"
Ah come dipingeremmo le nostre carte!
Ah quali colori impercettibili saremmo tutt'ora in grado di scorgere dal mare!
Se solo ci concedessimo...
No! Invece no! È più decoroso insistere nel trastullarci di bramosie peccaminose,
bramosie negate, negabili, inaccessibili, inconsumabili,
alla stregua di quei pochi paggetti circensi che guidano le nostre vite,
mentre ci si protrae, totalmente ciechi, ottusi e addormentati, nel lasciarsi guidare
verso la nostra Vera morte!
Il consumarci eterno, così da non dover mai nascere, non dover morire.
Consumo, per poi predisporci alla vendita, alle migliori offerte.
No, talvolta volando basso sulle peggiori, le più infami e disperate.
Accusatevi della vostra stessa ricetta! Fatelo, ancora una volta,
ricercate dove sorge la sede d'ogni vostro più intenso male!
Quanta noia, quanto splendore mancato.

Ecco allora,
io ho qui trovato il mio incastro,
ecco cosa annovera ogni mio svolgimento:
sto seduto qui.
Guardo, mangio, dormo. Mi consumo del patimento.
No, non me ne infischio, né mi svuoto dentro.
Soltanto, mi nutro delle vostre incomprensioni,
delle più remote lacune che lasciate estendersi, come uccelli addomesticati.
Dunque sì, non lavoro.
Non mi muovo. Né do altresì soddisfazione alle vostre continue richieste,
del compiere per voi azioni che siano avvolgenti, coinvolgenti, o addirittura ammaestrate.
Che possano cogliere e ravvivare sempre la vostra attenzione, così vuota di voi stessi,
così pregna di sostanze narcotizzanti, e perduta per sempre nell'oblio delle vostre sorti,
che si riciclano,
come esperienze vissute ruotandosi intorno, senza mai inquadrare un cerchio.
Senza mai puntare verso il centro, giusto per seguirne qualche raggio.
Concepire dov'è che fa poi capolinea..
Eppure non di voi qui si parla!
Questo è il mio posto.
La danza, l'esultanza, l'ebbrezza e l'ubriachezza!
Io non farò nulla! Mai nulla! Nulla!
Nulla che per voi, equivarrà al far qualcosa.
Sdraiato qui,
inzuppato fradicio delle più ebbre fronde, che mi pervadano allora, da cima a fondo.
Dormo, non mi sveglio, Dormo!
Mi siedo qui e quando voglio guardo dall'altra parte.
Pervaso dal mio mondo zuppo di incantevoli voglie e sublimi bramosie,
intense, marcate, così sfuggevoli, ma tuttavia conquistate..
Così infischianti e durature, anche ingannevoli ma a volte pure.
Questo è un inno alla vita, di certo lo è più del vostro.
Non contiene alcun inganno, soltanto il peso dell'essersi preso posto.





mercoledì 14 maggio 2014

Delirio #2 - Aiòn

Fuochi fatui,
s'accendono.
Nascono dal bianco fiore,
si illuminano lungo il cammino
disperdono gas inodore.
Quel blu fluorescente
è la fiamma,
che da sempre inneggia il ventre.
Consumano il grigio torpore.
Distanziano percorsi
illuminano con esili passi
saziano l'opaco candore,
guidano il passaggio
che in sé distende il filo.
Disseminano fiamme ardenti
qua e in là, nelle soste lontane.
La tua, è l'ultima di tutt'una stirpe!
Ma in te, in te,
in me!
Ho acceso la fiamma bruna.
Da Te, per Te, con Te!
Ho acceso la fiamma Solenne.
Rebis!
Caput Mortuum.

Medicina
ANEMIEIAVALAR
TUMEFEIMAAF
SETTIOLTTUOR


mercoledì 7 maggio 2014

Delirio #1 - Bene

In attesa di staccarsi,
fino allora è la mia forza.
Muoversi in lungo e in largo il mio sconforto,
mordersi fino all'osso, per non cedere la coda.
Io credo, per non avere alcun senso.
Io spero, per non avere alcun rimorso.
Il credo è dei dannati,
la speranza è la loro fine.
Una fine senza inizio,
di certo non v'è incertezza,
vige soltanto la certezza:
l'anatema di non alzarsi mai.
Siede dunque la sentenza:
il tempo è una fievole illusione,
accetto tutto il corpo,
domani lo butto via;
amo il nesso con l'oltremondo,
di lui covo bramosia;
e mentre è intenso a morte il corpo,
guardo il cielo, senza reclamo per la luce,
di lui, tra guerra e pace, illumino il mio sorriso.
Mi riposo adesso.
Mi nutro.
Mangio la vita.


Medicina:
MORALIBELADLETRALA
ESTQUODALEMATERI
VITEGALAANNOGILI
               
                                                                                                                                

venerdì 2 maggio 2014

Il Cammino, Tutte le Volte

Oh, è questa la calda sensazione che mi piace provare,
all'imbrunire,
quando le nuvole s'addensano,
creando una morbida e soffice nebbiolina,
flebile e calda,
abbastanza da sentire le proprie membra accalorarsi,
come un abbraccio, rassicurante,
in memoria di un'atavica sensazione primordiale,
che rimarca la sicurezza intima dell'involucro materno.
E il sole le sovrasta,
e porta il lume laddove le remote e scure depressioni
affossano il terreno,
e lo rendono cupo, ricurvo
e preso dall'intento d'affogarsi tra le proprie colpe,
arrendevoli, invece, adesso che la luce le ha scovate nel profondo,
sorprese, oramai dunque,
ad ammettere la perversa ingordigia
rivenuta nel trastullarsi del proprio mondo.
L'aria si fa limpida,
inalo un respiro che ristora le anime danzanti sui cieli rasserenati
dall'intiepidirsi dei cocenti afflussi, portati dal sole,
di cui esse li sorvolano,
e si rincorrono in cerca delle primizie che le correnti di primavera
s'apprestano ad offrirgli in grembo.
E poi i canti.. Che da tutt'altri mondi inneggiano,
d'ogni luogo,
alla più serena convivenza,
tra le melodie dissonanti deturpate da quei mezzi
che impuri
corteggiano questo intenso paradiso terrestre,
in cui ogni festa,
sia essa pura o ricolma di peccato,
trova luogo in un'armoniosa sorte,
che coinvolge già tutti gli orchestranti,
intenti, ognun per proprio conto,
a raggiungere il luogo prestabilito,
consci di dover adempiere al proprio compito,
ognuno col proprio mestiere,
affinché ogni giorno possa sempre erigersi
come quello più dorato.
Io m'immergo in un tepore
che fa brezza dall'interno,
e che calma il corso delle acque delle sorgenti,
che fino ad allora, si spingevano con insolenza,
miscelando i proprio flussi ardenti, in una più profonda disillusione,
dipingendo l'intero corso
d'un nero rattrappito, coagulato,
rappreso in grumi di turpitudine decadente.
Il calore spegne il soffio dei venti
che da un capo all'altro
respingevano, come per gioco,
i miei brividi di lamento.
Giungo allora al centro del mio viaggio.
Poi mi siedo, sul punto esatto in cui ho sempre inclinato il corpo,
e mi perdo tra le danze ammaestrate per l'occasione
dai primissimi messaggeri alati delle correnti di primavera,
coloro che mai si poggiano per intero sulla propria terra
sfrecciano in apoteosi per la più importante celebrazione
che rasserena tutto il corpo,
e lo dirige verso un tempo che al qualsivoglia incontro aveva chiuso i propri battenti.
Le emozioni sono lì congelate, in un luogo fermato nel tempo ed occluso dal tempo.
E d'esso soltanto preferiscon proferir parola, sovente, quando il tempo si fa buono.
Da lì, incalzano discorsi
da cui perdersi per strade assai profonde
è cosa molto facile.
Ed io solitario parto
ed in armoniosa compagnia finisco poi per ritrovarmi,
in un cammino gioioso
di cui m'affretto tutte le volte a raccontarti,
quello di una più serena madre
pronta a render grazia ad ogni tua parola mai davvero portentosa.
È questo il fortunato destino
a cui lego con fervore ogni mia parte,
e dal quale, con equilibrio,
mi presto a conservarne ogni più piccola delicatezza,
pronto a concederne,
a chi con un gesto ritrovi il proprio posto,
col cuore, ogni singolo istante,
anche se di un posto lasciato in passato
è pur sempre quello di cui si parla,
in un luogo, che definir magia,
è pur soltanto fiato sprecato.