lunedì 9 luglio 2012

Garzania - Il Canto delle Tempeste Solari

vorrei nutrì la tua mente.
vorrei nutrì il tuo corpo.
vorrei nutrì le tue emozioni.
vorrei nutrì le tue azioni.

il corpo si stende, la mente si svuota, le emozioni la riempiono e le azioni vi si perdono.
un fiume giunge in piena e pone fine ad ogni scossa.
è un fiume invisibile, intangibile, ma che ben si percepisce.
è un fiume che non odora, è un fiume che non ha sapore, ma che profuma e ben esalta ogni papilla.

è un fiume come un serpente.
il suo ondulare, il suo strisciare, lo nascondono nell'ombra.
e lui resta li, e all'improvviso straripa in un'istante, travolge tutto.
ma in un momento, tutto si spegne e qui comincia la tempesta.

e lampi, tuoni e saette si scambiano in un gran ballo su nel cielo.
giungono i nuvoloni ad oscurare qualsiasi spiraglio che ponga fine alle loro danze.
e come in gran cerimonia, servono la notte scambiandosi di braccio in braccio ad ogni attacco.
finché il sole trova breccia con fatica, irradiando i campi bagnati e malinconici nel loro odorar di pioggia.

e cosa vede l'osservatore sveglio e attento?
e cosa ode il viaggiatore vispo e sempre allerta?
vede un cieco dallo sguardo assai gentile.
ode un grido che non sa respirare.

le tante notti portano con sé troppe tempeste.
di cui il ricordo ne enfatizza le carcasse.
e allora il buio che vi è dentro poi s'accende.
e i due occhi divengon cechi per tanta luce in un sol istante.

cresce così un fiore tenero e delicato.
ed il suo buio fa da interprete del suo passato.
sembra un fiore che si nutre d'ogni spiraglio.
ma per cui il tempo divien nemico in ogni sbaglio.

colgo un fiore la cui fuga è sempre incerta.
ma il suo stelo lo rilega all'aria aperta.
di quella terra che dalle tempeste è tormentata.
ma che allo stesso tempo di quell'acqua l'ha innaffiata.

colui che non ha la vista la riacquista col suo bastone.
ma il bastone adesso è perso, è trascinato via dal fiume.
e se sei in viaggio porti sempre con te l'appiglio.
e se osservi cogli l'attimo per correggere l'abbaglio.

cedo allora il mio bastone ad ogni passo.
affinché il cieco riesca a cogliere il calore del proprio raggio.
ma forse il viaggio è troppo intenso e travagliato.
e ad ogni sentiero si fortifica il mio braccio ormai stremato.

da bastone in molte lune t'ho già fatto.
e poi sto attento che il tuo stelo rimanga tutto intatto.
ma è un travaglio di difficile chirurgia.
e solo il tempo e l'accortezza mi restituiranno la cortesia.

ogni anno e ogni giorno più mi invecchio.
e se vado lontano giù nel tempo vedo il fine nello stravecchio.
e ogni tanto di un bel petalo si necessità il mio animo.
come un poeta che con le margherite si diletta in un prato magnanimo.

il tempo è dunque un gran tiranno, e al povero schiavo chiede dazio per ogni suo affanno.
il tempo è anche un mattacchione, perché del povero cuor gentile si prende gioco con grande attenzione.
il tempo è anche un saggio pieno di risposte, che se il viaggiatore non è degno, le rivela senza soste.
il tempo è anche piccolo e indifeso, che se cuore e animo si accendono si tolgono subito del suo gran peso.

già nutri troppo la tua mente.
già nutri molto il tuo corpo.
già nutri poco le tue emozioni.
già tu rifuggi le tue azioni.


"La mano ubbidisce all'intelletto"