venerdì 29 maggio 2015

Il Dono

Perdersi tra queste mura
che mi trascinano nel tempo.
Perdersi tra queste strade
che disperdono la mia unicità.
È un sogno,
è un sogno dal cuore vivo,
che pulsa nel corpo di una realtà fatta di parole.
È un sogno in cui scorrono proiezioni lampanti
dei racconti del tempo che fu,
di storie in cui vi sono luoghi da sempre narrati,
luoghi che per giorni furono immaginati,
luoghi in cui vi era da narrare poi
sempre di qualche cosa,
o di qualche perduto ricordo.
Qui dove l'angolo fa la corte alla chiesa,
qui dove si odono gli echi dei medici
che si presero cura del tempo ammaliato,
risali le scale
e guarda,
adesso puoi apprendere come le emozioni
scorrano via attraverso i tuoi occhi.
L'acqua scorre in giù, segna il tempo che passa,
sulle rive lascia il tempo che resta
per concedersi ancora una volta
qualche ripiego al passato.
Vai ad immergerti in un idillio
la cui debolezza
è simbolo e specchio della più indescrivibile delicatezza.
Non c'è spazio per la notte,
si può al massimo tendere ad allargare il buio finché si può,
fin tanto che non si riesca più a vedere,
o a vedersi
neppure impigliati in una realtà tangibile al tocco.
Questa è la poesia,
questo è il dono di cui ti parlo
ogni qualvolta ti penso intensamente.
È il dono del giglio,
è il dono del cipresso,
è il dono di tutti i fiori, le rose azzurre,
e dei più nobili misteri che si aggirano lungo i sentieri più intricati,
che vagano lì da soli a raccontarsi, magnificati,
tra le strade di questa città.
Qui dove fu l'isola dei morti,
è il luogo per le campane che suonano al giusto rintocco,
è il luogo in cui il glicine troppo in fretta si mostra sospeso in fiore,
è il luogo in cui sempre aperte sono le finestre
nell'attesa che tornino gli avventurieri dei racconti trapassati.
È il luogo in cui si conoscono i cinghiali,
e le fortune che incedono dai loro proventi,
è il luogo in cui ti vedi nel rincorrerti in uno stesso posto,
senza mai vederti, allo stesso modo, in un gioco predisposto.
È il luogo in cui mi fu permesso di aprire gli occhi
e guardare al di là delle cose,
di immergermi con tutto me stesso, una volta,
e di concedermi un bagno in queste acque consumate,
in cui in vite precedenti ho già imbastito legami così intensi
da non poterne mai dimenticare il sentore invisibile, seppur lontano dagli occhi.
Questo è il più grande dono che mi hai concesso Fiorente Viola,
è questo che ho colto, nelle mie notti, dal Santo al Pellegrino:
tu sei l'idea,
tu sei l'ideale, a cui appendo le mie malinconie,
il tuo dono è nello spirito,
in esso, la via che ci abbraccia in tutte le cose
e che mai ci disperde,
neppure quando ne vengono arginati i più arditi risvolti.
E quando il sogno svanisce,
ecco che l'occhio si apre su una dea senza coscienza,
ecco che il tempo si delinea quale sublime occasione
in cui concedersi non è che un'empia decisione;
qui dove il sogno s'infrange
il cuore si frantuma nel dirsi impotente.
Dal ponte si entra,
dal ponte, poi, si esce.
Seppur tutt'oggi te lo chiedessi,
è di un dono povero al tatto
quello di cui si parla,
ma è un dono così intenso e concreto nella realtà che ivi si narra,
che colui della quale vi s'intinge ciò nonostante
nella stessa porta il nome,
l'effige impalpabile di sognante.


Hic lapis exilis extat, pretio quoque vilis, spernitur a stultis, amatur plus ab edoctis.