sabato 21 gennaio 2012

Morfina

E' strano come ogni essere umano reagisca sempre nella stessa identica maniera quando un qualcosa che procura in lui un forte benessere e una completa sensazione di appagamento, gli viene privato, tolto o semplicemente cessa di esistere.
Ogni drogato che si rispetti lo sa, quando gli eliminano la dose di eroina/morfina/qualsiasialtradrogachegeneridipendenza (e il discorso potrebbe allargarsi anche alle semplici canne.. con le dovute proporzioni, purchè generino in lui quel benessere sopracitato), tutte le sensazioni da lui provate, così come l'intera percezione del mondo che lo circonda, non fanno altro che virare verso un'unica direzione e nella gran parte dei casi con un'incredibile insistenza e priorità.
E' come se quella fonte di benessere divenisse l'unico scopo supremo e centralizzato della sua vita. Non c'è altro, non esistono variazioni, non esistono alternative, non esiste alcuna possibilità di vita "senza di Lei".
Trovo perfetto anche l'utilizzo di questo termine, Lei. Proprio perché questa sensazione di rinuncia inaccettabile, di vivere una vita impossibile e totalmente vuota senza quella sostanza o senza quella cosa, è la stessa che provano gli innamorati nelle loro fasi più acute.
Quante volte ci si è trovati in situazioni in cui persone recitavano queste stesse parole di impossibilità di vita, di non avere alcuna possibilità per il futuro e non voler più continuare a vivere, proprio dopo aver perso la persona amata? Quante altre volte ci si è ritrovati noi stessi in quelle situazioni, senza via d'uscita, senza alternative, come se da quel giorno in poi la nostra vita non avesse più valore e non valesse più la pena fare nulla... per poi riscoprirci un giorno, un mese, sei mesi dopo (nei casi più gravi anche un paio d'annetti) pronti a rinnegare tutto, a darci degli idioti, degli imbecilli con tutta una serie di ragionamenti brillanti e consapevoli, su come in quel periodo si fosse stupidamente presi da una cosa sola e come non si riuscisse a trovarne soluzione?
E' vero, in questi casi il tempo aiuta molto; nei casi di dipendenza da droghe anche, ma talvolta non basta solo quello.
Eppure esistono casi in cui la similitudine tra i due contesti è praticamente coincidente. Esistono casi in cui questa dipendenza non riesce proprio ad affievolirsi, o a cessare del tutto magari. Esistono casi in cui il tempo amalgama bene le sensazioni e le pulsioni attrattive, ma che magari alla lunga portano l'individuo a cascare nuovamente negli stessi processi. Esistono casi in cui ci sembra di essere guariti del tutto, sia per il tempo trascorso, sia per la nuova grande consapevolezza emersa dalle esperienze, ci si sente forgiati e forti di ciò che si è vissuto e compreso e pronti ad affrontare una nuova avventura.. e puntualmente si ricade al punto precedente.
In tutti questi casi, e in tutti gli altri immaginabili, le due situazioni contestuali continuano a coesistere tranquillamente con le stesse dinamiche.
Sono sempre gli stessi identici comportamenti a guidarci. Le stesse funzioni psichiche:
manca qualcosa di fondamentale? ---> io non posso vivere; non riesco a vivere senza quel qualcosa? ---> devo provare a riottenerlo; capisco che riottenerlo è dannoso per me? o magari impossibile? --->
comincio a perdere il controllo e fare gesti avventati magari; riprendo possesso di me stesso anche se in maniera parziale? ---> cerco di convincermi che quel qualcosa non sia per me più necessario.
E dopo? Dopo avviene che o si ricasca sul fatto, o si scarica quella quantità di libido in continua ricerca di un qualcosa, su una nuova dipendenza.
E' proprio così. O si cambia droga, o si ripesca la stessa identica con gesti, modi e vie non sempre molto chiare, pulite o legali.
E' come se comunque questo gesto di dipendenza riesca lo stesso ad averla vinta. Come se fosse inarrestabile. Come se fosse una parte necessaria e inscindibile di noi stessi.
E se davvero così fosse?
Pensandoci ogni esperienza della vita, per essere tale ed attrarre di conseguenza il nostro interesse, o quantomeno la nostra attenzione, deve in un qualche modo per forza di cose creare dipendenza, almeno per un determinato (variabile) periodo.
Se ciò non avviene, vuol dire che quell'esperienza non è soddisfacente, non ci ritorna un qualcosa di utile, non ci interessa.
E' come se fosse una specie di mercato, come un po le azioni in borsa.
Si decide di investire su una determinata azione (esperienza) un tot denaro (energia), partendo dal fatto che ci si senta fiduciosi nei suoi riguardi e che questa generi in noi quella quantità sufficiente d'interesse tale a farci ben sperare in futuro di conseguenza (una persona con determinati interessi comuni, o che ci ha colpiti o nel caso parallelo una droga che provochi delle forti e piacevoli sensazioni appaganti); e proprio come in borsa a seconda dei movimenti del mercato e magari anche di come tu gestisci il tuo portafoglio (il modo in cui tu ti relazioni a questa persona/esperienza), ecco che si ottiene una vincita o una perdita.
Ecco che comunque (cosa più importante) si cerca di ottenere un qualcosa. Un qualcosa da cui temporaneamente dipendiamo per giunta!
Si cerca sempre di ottenere un qualcosa da chiunque. Persone, amici, nemici, amori... e così via.
Quando ciò non avviene, come detto, significa che queste non fanno parte del nostro universo in quel determinato istante/periodo di tempo.
Esistono dunque persone/droghe/sostanze/esperienze che riescono a centralizzare (dal nostro punto di vista, certamente... ma anche tramite il loro semplice essere) una forte quantità di interesse (o libido volendo) da parte della nostra persona, rispetto ad altre. Esistono persone la cui attrazione nei nostri confronti diventa talvolta eccessiva e incontrollabile. Esistono persone che riescono a coinvolgere la nostra sfera emotiva/sensoriale/percettiva/intellettiva (talvolta più una che l'altra.. talvolta la totalità del nostro sé) indubbiamente più di altre. Ed ecco che di conseguenza queste generano quella famosa dipendenza.. sia che le otteniamo, sia che le perdiamo, sia che stiamo in ansia per ottenerle, e così via.
E' come se queste persone avessero un carico d'interesse tale che tutte le altre (e come detto, talvolta tutto il resto) venissero offuscate. Come se in quel mercato borsistico si investisse in una singola azione tutto il nostro capitale, forti di tanta fiducia e attrazione da diventare ciechi e irresponsabili sul nostro operato, ma confortati dalla visione rosea e gratificante che tanta fiducia e attrazione portano illusoriamente a generarci.
Ed è proprio questa finta (ma tanto reale) visione rosea che, quando il mercato crolla, la nostra azione perde, e la nostra sostanza scompare, di conseguenza ci frusta senza pietà, trasformandosi in una visione totalmente buia e nera, forte adesso di tanti rimpianti e scialbi tentativi di giustificazione quali "ma io ci credevo molto", "io mi fidavo", "avevo investito bene la mia fiducia ("i miei soldi")", che ovviamente non portano ad alcuna soluzione lucida e realmente appagante.
Col tempo sembra che questa visione si ricolori un po di più, che ritornino alcune scale di grigi e successivamente bianchi e magari qualche colore in più al lungo andare.
Ma talvolta esistono macchie nere che risultano molto incisive e ancora per lungo tempo.
Quando poi si riesce miracolosamente a scrostarle dalla propria psiche, e si cerca di ritornare a ricostruire quel mondo colorato e con quel giusto di roseo che serve per portare avanti la baracca, ecco che, come detto sopra, ci si ricasca di nuovo. Stavolta l'azione ha un nome diverso, ma svolge in noi la stessa identica funzione in fin dei conti, riattivando lo stesso meccanismo precedente.
Osservando alla lunga questa dinamica, mi sono reso conto che forse tutto ciò è normale e fa parte semplicemente dell'umana psiche, che magari è un po più accentuato per i casi la cui genetica predispone un atteggiamento più marcato per la dipendenza, per il non "saper restare da soli", per l'aver continuamente bisogno di qualcuno (o in sostituzione qualcosa) a cui dedicare l'esistenza.
Tramite vani lunghi personali tentativi di distruzione di questa orrifica dinamica poi, sono giunto ancor più alla conclusione che il postulato sopracitato sia sempre più probabile.
E' come se, eliminando la necessità di qualcosa o qualcuno a cui appartenere e per cui compiere (anche soltanto idealmente) ogni singola azione, di riflesso l'io e tutte le esperienze a lui legate e conseguenti sparissero, perdessero totalmente di valore e dunque nulla avesse più senso, se non rimuginare sulla non esistenza delle cose (appunto).
Come se l'io da solo non bastasse per autoappagarsi. Come se per trovare un giusto appagamento dalla più piccola delle proprie azioni, l'io avesse sempre bisogno di qualcosa o qualcuno a dover poi confermare il lavoro svolto per ogni esperienza e di conseguenza approvarlo. Come a dover dimostrare ogni volta a qualcuno qualcosa per poter ottenere appagamento e soddisfazione.
Il solo dimostrare a se stessi non sarebbe più sufficiente.

Penso però che in questo contesto il problema si ponga più per una questione di "intensità" che altro.
Intensità, probabilmente un po genetica, un po culturale ed educativa, intesa come la quantità di energie spese a servizio di una singola cosa, che, essendo eccessiva, prescinde poi tutte le altre.
Ritengo che ogni essere umano abbia l'innata necessità, come condizione esistenziale della propria psiche, di essere riconosciuto dal contesto che lo circonda; sia questo costituito da persone, da una comunità sociale, sia un ambiente naturale, un animale e così via. L'importante è che qualsiasi cosa lo circondi, gli dia un ruolo all'interno del contesto che lo circonda.
Eliminato questo ruolo, si elimina anche l'essere umano o quantomeno la sua psiche. Come se questa smettesse all'improvviso di funzionare, come se perdesse totalmente di valore.
E' come se la psiche stessa, secondo il ragionamento di cui sopra, si nutrisse di questo contesto esterno per vivere.
La creazione di Dio da parte dell'uomo, e di termini come Amore, Odio, Nulla, Caos e tutte quelle altre terminologie che determinano assolutezza, immortalità ed una definizione "certa" e "statica" di un qualsiasi concetto o evento della vita, ne sono la più lampante testimonianza. La creazione del linguaggio stesso lo è.
Dio, Amore, Caos, Nulla, sono tutti termini utilizzati dall'uomo per spiegare l'inspiegabile.
Il linguaggio, tutte le parole e i gesti che compongono un linguaggio sono, sotto un'attenta analisi, allo stesso modo gesti e parole utilizzati per spiegare un qualcosa che l'uomo non può spiegarsi.
E a che pro essi vengono creati ed utilizzati se comunque non servono a spiegare nulla?
Semplice, per comunicare. Per un qualsiasi tipo di comunicazione, "spiegare" è necessario. Così come è necessario dare una definizione alle cose.
Senza spiegazione, senza definizione, senza "fermare" un pezzo di realtà, non è possibile comunicare nulla.
Di conseguenza allora ci si dovrebbe interrogare su quale funzione ricopra per la psiche l'atto di comunicare.
La risposta più semplice suggerirebbe l'idea di un atto nato per mettere in correlazione due entità tra loro. Per farle sentire in comunicazione appunto, in empatia, in contatto. Di conseguenza questo contatto dovrà apportare un qualcosa ad ognuna delle due entità separate. Se così non fosse, non avverrebbe alcun contatto come detto sopra. Se non ci fosse interesse e di conseguenza uno scambio, non si avrebbe alcun contatto ne alcun guadagno.
Quindi ogni relazione può essere intuita come un continuo scambio di interessi. Un mercato.
Un mercato dove ognuno guadagna un qualcosa. C'è chi guadagna titoli-fiducia e stima, imposti sull'altro; c'è chi guadagna titoli-consigli e guida, sottomettendosi all'altro. Talvolta lo scambio avviene tramite un alternarsi di questi due ruoli. L'importante è che questo scambio generi un certo tipo di appagamento comunque.
Ciò riporta la mia riflessione al punto:
ogni essere umano ha bisogno di uno scambio. Ha bisogno di creare un Dio a cui dare qualcosa e da cui ricevere qualcosa. Ha bisogno di creare un entità da cui dipendere e a cui poter talvolta creare dipendenza.
Ci sono poi esseri umani più predisposti (come detto da geni e cultura) per creare dipendenza ed altri per subire dipendenza.
Se si elimina quest'entità alla radice, se si priva di valore questa entità, concentrandosi magari per conseguenza su una forte centralizzazione e chiusura verso il proprio ego, si giunge al triste risultato che il proprio ego non possa vivere, come un cuore in cui non scorra più alcuna goccia di sangue da poter rimettere in circolo.
Nei casi esaminati all'inizio di questo documento, è facile riscontrare adesso i meccanismi che portano a quelle "strane" reazioni, che poi strane non sono a quanto pare, di non-vita e forte dipendenza sopraelencate.
C'è da sottolineare però molto attentamente che comunque anche la predisposizione genetico/culturale che porta gli individui a cadere in una dipendenza è sempre una questione meccanica e non caratteristica.
Ciò si presenta come una differenza fondamentale dal momento in cui anche una persona predisposta per la creazione di dipendenza, a livello genetico/culturale, subisce certamente durante la propria vita una dipendenza da qualcosa. E' come se in fondo fossimo tutti dei nodi interdipendenti in questo mondo e che ci differenziassimo l'un l'altro solo per l'accentuazione di talune caratteristiche rispetto ad altre, ed operassimo in continuazione in quegli interscambi già descritti per mandare avanti la macchina individuale e di conseguenza globale che costituisce la nostra vita.
Diviene allora facile concepire come di conseguenza ogni nodo può dipendere e creare dipendenza ad un altro allo stesso tempo. Per la gran parte dei casi si tratterà però di nodi differenti, ma in alcune tipologie si potrà riscontrare questo duplice effetto anche su uno stesso nodo di questa fantomatica rete.

Se questo tipo di dipendenza è allora così necessaria, bisognerebbe soltanto imparare talvolta a gestirla. A gestire quell'intensità che non ci permette di equilibrarci negli atti, nei gesti e nel sentirci attaccati a quella determinata cosa.
Siamo un continuo sballottolare di sensazioni, istinti e pulsioni e talvolta mantenere il controllo, quando vengono generati certi meccanismi e attivate certe pulsioni, è la cosa più difficile da fare.
In questi contesti tutto il lavoro sta nel trovare un po d'amore per noi stessi, inteso come un forte sentimento d'accettazione per quello che siamo, facciamo e viviamo e riuscire da questo a ripartire per puntare nuovi obiettivi da agganciare come bersagli da cui diverremo temporaneamente e giustamente dipendenti.. il tempo di averli raggiunti e aver provato appagamento dal conseguimento di tali scopi però.
Terminato questo tempo, bisogna esser bravi a tornare un attimo su noi stessi e riuscire allo stesso modo in cui abbiamo creato la dipendenza da quell'obiettivo, a tesserne una anche riguardo noi e la nostra totalità psichica, in modo da controbilanciare la forte spinta attrattiva che ci rende schiavi di quell'oggetto insostituibile.
Talvolta ci vuole una forte contro-spinta, talvolta la cosa diventa molto più facile.
In ogni caso tutto sta a noi e a ciò che vogliamo ottenere in quel momento dalla nostra vita.


«Secondo l'ambiente e le condizioni della nostra vita, un istinto emerge come il più stimato e dominante; in particolare, pensiero, volontà e sentimento si trasformano in suoi strumenti»
Friedrich Wilhelm Nietzsche 

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