martedì 5 novembre 2013

V(u)oto di Devozione

È come un virus,
una morsa struggente,
sento il mio corpo decomporsi,
degradarsi, sbiadirsi, dilaniarsi,
in un insieme di frammenti dai legami infetti.
È il marcire della carne
e degli strati nervosi,
che pian piano si irrigidiscono
e si scompongono
lasciando spazio al caos più totale.
Una malattia,
ti divora l'anima,
divieni un condannato terminale.
Provi a ricomporti,
affannato nel ricucire i tessuti
adesso sconnessi,
affaticato nel seguire le mappe
delle vie nervose,
a ricongiungerne ogni pezzo che
lentamente sfugge via,
si distrugge,
e non rende neanche il tempo per rendersi conto.
Sei vuoto adesso?
Non ancora.
Sei nel pieno delle forze,
ma queste congiungono tutte, lentamente,
verso l'interno,
si concentrano per corrodere
là dove il corpo pullula di vasi sanguigni,
là dove è il centro di ogni pia decisione.
Si muore.
Si muore dall'interno,
di un implodere su ciò che più ti incanta.
Il desiderio di una vita intera
rende la vita stessa un calvario senza fine,
una tortura in cui si muore
una tortura in cui la morte non è altro che l'inizio di un intensa fine.
Guardi il tempo che passa,
conti i secondi che ti separano dall'infausto destino.
Cosa fare?
Muoversi adagio, sorprendersi a remare controcorrente.
E se ciò non accade?
Arrendersi e perdersi nei profumi della sfuggevole bellezza
d'un essenza mai destinata a durare troppo a lungo.
Perdersi in questo mare, che più ti muovi
più affiorano verità indissolubili;
inoppugnabili certezze,
si affinano stucchevoli lame,
pronte a concedersi
un fendente che lacera il costato.
Ti stendi in un mare pietoso
di decadenze mai misericordiose,
ti arrendi o' fiero cavaliere
all'unica verità certa
che fortifica la rocca e dona la forza all'intraprendenza:
vai avanti, sollevi la dama,
e del piombo più cupo
fai l'oro da sciogliere in bocca.




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