sabato 26 ottobre 2013

La Tirannica Circe dai Pericolosi Profumi

Navigano i fiori della mia impotenza.
Del sublime, una passione
che di più non si può estendere il fato.
Il fascino, l'illusione
e la sfuggevolezza di un fiore mai domato.
Del diletto, vi si nutre con leggerezza,
del diletto, fa propria tutta l'ebbrezza.
La sofferenza, il patire,
un dolore,
che d'antico è stato scritto.
La bellezza ancora
di un tempo che ha saputo mai essermi distinto.
Io mi muovo adesso
tra vaneggio e vanità,
io mi trovo adesso
d'inettitudine e carità.
L'ascesa, la sensazione
l'esser canto per virtù.
Ritrovarsi in ebbre fronde
là dove il gioco spinge in giù.
Soffrire il fascino del disilluso non è cosa da tutti.
Mi ritrovo, mi ripenso,
ammaliato da qualcosa d'altro tempo.
L'essenza è già vista
la forma mi è assai nuova,
io mi perdo
e di me stesso faccio ammenda.
L'offensiva è un rivolgersi verso i muri.
Ritrovarsi ammaestrati
più da un cervo, che di bellezza
e perdizione
ha visto il tramonto in un turbine senza tempo.
Resta dunque il giro del centro
di un etanolo fatto d'ardore e commozione,
in un fetido imputridire
in una vita di ricordi dal tendersi ad orrore.
Salgo il balzo dell'oltretomba,
e prendo il cervo con tutto il cuore.
L'amore, l'amicizia, l'ardore,
d'una regina del tempo;
mi dissolvo nel dolore.
La strage d'un intero popolo
è cosa da nulla
per colei che sfugge.
L'annichilimento di un intero uomo
è vera goduria per colei che giunge.


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