domenica 23 marzo 2014

L'Attimo Fuggente

Sarà passato tutto il tempo che vuoi, ma ogni volta che mi concedi quegli scontri fugaci, in questo incontro in cui c'è sempre da farsi male, il mio spirito è come se prendesse fiato da un soffocare che ha già ucciso l'anima.
E mi delizio e mi concedo il lusso di ricondurmi a sognare, a riconcedermi e ricongiungermi ad un qualcosa che già da molto tempo fu lasciato incolto.
I campi arati furono bruciati dalle folli gesta di un signore iracondo, in preda alla propria escandescenza e consumato dalle fiamme interiori dell'incandescenza, e da allora nulla vi fu più coltivato, e nulla dunque ne fu mai colto, lasciandoci tutti impietriti in preda ad una lunga e cruenta carestia, che nel tempo ha lacerato ogni singola parte del nostro intero corpo.
Così presto e di gran furia si spinsero le vecchie signore dei campi, a spazzar via i resti di tutte le loro malefatte, dove, tra uno sguardo indiscreto e l'altro, quando non v'era più nessuno a scrutare, la vigliaccheria prese posto, nascondendo ogni superstite filo dorato sotto copiosi cumuli di cenere e dei resti carbonizzati, ancora fumanti e abbrustoliti dalle intemperie accorpate nel tempo, anziché conservarne minuziosamente ogni singolo corpo, nell'attesa, speranzosa, di tempi più propizi.
La vendemmia prese dunque il loro posto per gran parte delle stagioni, di essa assai fiorenti furono i frutti, anche se, ben presto, anche le scorte di quel succo dai contorni violacei esaurirono il loro colpo, lasciandoci indigesti e ben presto disidratati, di quella carica e di quella vigoria che rendeva giovamento al più malizioso e modesto dei mondi.
Tu mi hai concesso le uniche eresie per una vita fatta di stenti, e di affamati bei propositi, ben presto sedati nel tempo dall'inadempienza alle proprie colpe, nonché ai propri doveri, di per certo.
Eppure ogni incontro è stato uno scontrarsi valido, sincero, onesto nei propri intenti.
Ma soprattutto intenso. Così intenso e forte come pochissime altre cose al mondo, tali che il mio sguardo così in sincerità e purezza, si sia mai concesso di gran gusto.
E nonostante le cose abbiano preso una piega in cui nessuno di noi sia mai uscito vincente, ecco che ogni volta che ci si incontrasse su questa via, da un momento fugace, ad una visione colta e rubata in controtempo, ho sempre potuto scorgere il tuo occhio vivo sulle mie gesta, ormai decadute e decadenti, come succede a tutti nella vecchiaia, sempre presente, e vigile, e controllore d'ogni movenza che potesse lederti o concerti un'inaspettata grazia, che forse, sempre, da dentro aneli.
Esse ti concedono da sempre gratitudine invece, che tu forse mai hai saputo cogliere, né certamente ricambiare, ma che hai sempre ambiguamente inteso come minaccia, o talvolta magari offesa, vigliaccheria, o più semplicemente come indegne della tua maestosa presenza e, ahimé, a tuo modo di intendere, spettanza.
Ecco allora che mi confesso nel dirti cosa il tuo piccolo dono comporti per me, e cosa e come andrebbe forse ricambiato, magari un giorno, in chissà quale distante futuro.
La mia vita mi concede già pochi pasti da ciò che sembra essermi degno di ristoro.
I campi, come detto, sono sterili di frutto, e così come questi, da essi si svuota ogni letto di fiume, che prima tinge di grigio la propria natura, la quale, non più cristallina, tramuta il proprio corso in un letto di veleni e morte, fino a consumarsi ad un filo tenue che può giungere a secca quando il sole d'estate si fa più mordente.
E' un ritratto di una natura morente quella che mi si prospetta.
E lo sguardo alle mie spalle mi conduce attraverso vie nebbiose, in cui il tempo si trasmuta di un risvolto temporalesco e cui le memorie delle rugiade e delle api in cerca di fiore, si tingono di un grigio in cui ogni cosa è inscindibile dall'altra.
Mi trovo dunque impantanato in un pantano da cui non vi è scampo, se non l'idea di mettersi le vanghe in spalla e cominciare a scavare giusto laddove s'era lasciato.
E in questo muovermi tra fangose poltiglie e percorsi franosi mi si concede un piccolo canto in cui sento di non aver del tutto perduto speranza, in cui poter seguire la via, in cui ritrovare i vecchi tesori perduti, e forse rubati, in un'esistenza in cui sognare non era delitto, ed addirittura realizzare era il più immediato diritto:
il canto di cui mi degni, nel silenzio delle nostre danze tra giardini delle più inconfessate virtù, è il canto della più sublime dichiarazione d'amore che un'esistenza intera possa esprimere nel tentativo di essere colto.



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